sabato 1 luglio 2023
Alle imprese locali veniva imposto di affiancare al noleggio delle macchine per il gioco lecito quello dei totem: non si poteva dire di no
Lo strapotere della ‘ndrangheta sull’azzardo
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Le mani della ‘ndrangheta sull’azzardo. Legale e illegale. Slot e online. In Calabria come in Emilia e in Lombardia. In alleanza con la camorra. Sempre più “azzardomafie”. Un’ulteriore conferma del grande affare arriva dall’operazione “Glicine Akeronte” della Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. Una grande inchiesta sui clan crotonesi, in particolare quello dei Megna di Papanice, ma con collegamenti al Nord e all’estero. Con affari in tutti i settori economici. E non poteva mancare l’azzardo. Nelle 381 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del gip Antonio Battaglia, una trentina sono dedicate proprio al sistema col quale i mafiosi si sono assicurati quasi il monopolio del settore.

«Un settore - scrive il gip - verso il quale la cosca Megna ha manifestato un particolare interesse è quello della gestione dei video giochi elettronici, ovvero del cosiddetto “gaming”, che ha costituito un fertile terreno per conseguire facili guadagni, anche attraverso mirati accordi con esponenti di altri territori che hanno consentito al sodalizio di estendere i propri ambiti anche in zone diverse da quelle di ordinaria competenza ». E questo «esercitando un controllo soffocante e capillare su tutti gli operatori della zona». Un vero monopolio. E «lo stato di soggezione degli operatori commerciali è palpabile». Grazie a «un accordo trasversale tra i referenti delle rispettive fazioni criminali inteso ad assumere il controllo diretto del settore del “gaming”, escludendo l’intervento di altri operatori economici, con conseguente alterazione delle normali regole concorrenziali ». Un sistema illegale ma nell’azzardo legale. Così l’imprenditore di riferimento della cosca, Roberto Lumare, arrestato nell’operazione, «nel momento in cui si trattava di dover proporre il noleggio sia delle macchinette per il gioco lecito sia il noleggio dei totem, ricorreva all’appoggio del referente criminale locale». Da qui si capisce come la ‘ndrangheta sia presente sia nella gestione delle slot legali, sia in quella dei totem, terminali internet usati soprattutto per le scommesse illegali. In altre parole agli esercizi commerciali si imponevano entrambi gli apparecchi, e non si poteva dire di no. La conferma, dunque, di come le mafie gestiscano anche l’azzardo legale e come non sia vero che riducendolo e regolamentandolo in modo più severo e efficace, si dia più spazio all’azzardo illegale. L’operazione della Dda di Catanzaro fotografa, invece, l’esatto contrario. Le mafie guadagno con l’uno e con l’altro. Al Sud come al Nord. L’imprenditore Lumare gestiva le “macchinette” di due ditte campane Wozzup e The king slot, nomi importanti, già comparsi in altre inchieste.

A raccontare questo intreccio è Nicola Femia, detto “Rocco”, storico appartenente alla cosca “Mazzaferro” di Gioiosa Ionica, stabilitosi in Emilia Romagna nei primi anni 2000 e lì capo promotore di una ‘ndrina autonoma, operativa in nel settore del “gaming”. Arrestato nel 2012 nell’operazione “Black Money”, nel 2017 inizia a collaborare con la magistratura, soprattutto sugli affari delle “azzardomafie”. Ascoltato dai magistrati calabresi ha parlato degli interessi del clan Megna sul “The Garda Village” di Desenzano del Garda, nel Bresciano, assieme a imprenditori veneti, e in particolare dell’intenzione di aprirvi una grande sala giochi. Inoltre «interloquendo in relazione alle sue attività di procacciatore di giochi elettronici d’azzardo» riferiva dei rapporti intercorsi con Renato Grasso «noleggiatore di videogames proveniente da Napoli, a sua volta concessionario di agenzie da gioco nel crotonese e legato alla cosca Megna». In particolare «condivideva la gestione di una società denominata Wozzup. Tale società, per quanto a conoscenza del collaboratore, aveva raggiunto una sorta di monopolio ‘ndranghetistico nella città di Crotone». Anche in altri interrogatori “Rocco” parla dei rapporti tra i papaniciari e Renato Grasso. Questi è un personaggio chiave in molte vicende di azzardomafie, tra legale e illegale. Nel 2013 arriva la prima condanna definitiva per l’operazione Hermes del 2009 che scoperchiò una vera e propria holding criminale tra imprenditori del gioco, con in testa Grasso, detto “il re dei videopoker”, e il gotha della camorra napoletana e casertana. Non solo camorra. Dopo varie condanne in Campania come in Calabria, Grasso ha iniziato a collaborare. E ha raccontato di essere stato in affari con 74 clan mafiosi. Azzardo legale con più di 2.500 ricevitorie e agenzie, da Casal di Principe a Milano, Cernusco sul Naviglio, Cologno Monzese, Brescia, Cremona, Padova, Lucca. Oltre alla Calabria in società coi clan ndranghetisti come i Megna. Strettamente legato ad alcune delle principali concessionarie dell’azzardo. Mentre ripuliva i soldi delle cosche.

La sua storia, ricomparsa tra le carte dell’inchiesta di Catanzaro, conferma ancora una volta il pericolosissimo «patto scellerato tra camorra e ’ndrangheta» per gestire il grande affare dell’azzardo, come scrivevano i magistrati della Dda di Reggio Calabria nell’ordinanza di custodia cautelare per l’operazione Gambling del luglio 2015. Dopo otto anni non cambiano clan e affari. Con le mafie sempre più presenti nel mercato legale dell’azzardo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Alle imprese locali veniva imposto di affiancare al noleggio delle macchine per il gioco lecito quello dei totem: non si poteva dire di no

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