mercoledì 28 settembre 2022
L'accordo tra Pd, Azione e Si-Verdi avrebbe reso contendibili almeno 9 collegi per Palazzo Madama, frenando l'"autosufficienza" del centrodestra. Il caso-Trento, dove l'alleanza c'è stata e ha vinto
Letta (al centro) con Calenda e Della Vedova (ai lati) nel giorno in cui è stato firmato il patto per le elezioni, poi rotto pochi giorni dopo

Letta (al centro) con Calenda e Della Vedova (ai lati) nel giorno in cui è stato firmato il patto per le elezioni, poi rotto pochi giorni dopo - Ansa

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Chi ha sostenuto e sostiene che i voti di Pd, Verdi-Si e Azione-Iv non siano cumulabili, in queste ore ha messo gli occhi sul collegio uninominale di Trento per il Senato. Pietro Patton, a nome e per conto di un’alleanza benedetta da Enrico Letta, Carlo Calenda, Matteo Renzi, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, arriva al 41,1% e si prende il seggio di Palazzo Madama. Martina Loss, espressione del centrodestra a quattro punte che ha fatto incetta di collegi in tutta Italia, si ferma al 36,6%. Contingenza? Peculiarità territoriali? Forse. Ma l’esercizio non è futile. Perché seguendo questa scia Regione per Regione, uninominale per uninominale, viene fuori un dato che riguarda il Senato e che avrebbe parzialmente influenzato l’analisi del voto: altri quattro seggi da senatore potevano realisticamente finire all’ipotetico formato centrosinistra-Azione, cinque sarebbero tornati seriamente contendibili e almeno in cinque collegi plurinominali si sarebbe invertito l’ordine di arrivo delle coalizioni, con un effetto, benché ridotto, sui riparti dei seggi proporzionali. Non sono numeroni, ma nemmeno numerini: a Palazzo Madama il centrodestra è maggioranza assoluta con 115 senatori, con 10-12 scranni in meno sarebbe sceso a 103-105. In un Senato con 206 componenti contando i sei senatori a vita, con quota 104 a segnare lo spartiacque formale, i ragionamenti politici sarebbero stati parzialmente diversi da quelli che hanno orientato il post-voto. Sia chiaro: è uno scenario che non avrebbe sottratto a Meloni e alleati il diritto-dovere di fare una proposta per il governo del Paese, ma ne avrebbe condizionato metodo e contenuti.

In ogni caso, difficile sostenere che non sarebbe andata diversamente, ad esempio, nel collegio senatoriale Roma-Municipio XIV. La guerra tra Emma Bonino (33,21%) e Carlo Calenda (14,07%) ha favorito la vittoria della candidata di centrodestra Lavinia Mennuni (36,3%). Difficile anche sostenere che Azione sarebbe scesa sotto il 3% in questo collegio per via del matrimonio con i dem e la sinistra ecologista. Scenario simile, anche se meno nitido, nel collegio Roma-Municipio VII, dove Monica Cirinnà (30,94%) e Maria Rita Iorio (9,94%) si arrendono a Ester Mieli (37,49%). Gli altri due casi abbastanza evidenti in Toscana: ad Arezzo un candidato comune centrosinistra-Azione si sarebbe letteralmente appaiato all’eletto del centrodestra, a Livorno Andrea Marcucci (32,89%), uno degli esclusi eccellenti del Pd, guarda al 6,95% preso dal candidato di Azione come ad un’occasione mancata, dato che il centrodestra si porta a casa il seggio con il 38,97%.

Altri uninominali del Senato che sarebbero tornati contendibili, con un candidato centrosinistra-Azione teoricamente affiancato o a meno di tre punti dal vincitore di centrodestra, sono la Basilicata conquistata da Elisabetta Alberti Casellati, Benevento, Rimini, Roma-Municipio V dove si è imposta Giulia Bongiorno, La Spezia.

Anche nei plurinominali del Senato alcuni equilibri tra centrodestra e centrosinistra si sarebbero modificati con un lieve effetto sul riparto dei seggi. Nel collegio Emilia Romagna 1, ad esempio, il centrodestra vince col il 38,9% dei consensi, il centrosinistra è secondo con il 35,85% e Azione è all’8,5%. Analogo discorso nel collegio plurinominale Emilia Romagna 2: centrodestra al 37,85%, centrosinistra a un’incollatura (36,62%), Azione all’8,4. Altro caso, Lazio 1: centrodestra al 37,62%, centrosinistra al 31,52, Azione all’11,9. Ancora: Piemonte 1, con centrodestra al 38,8%, centrosinistra al 32,77, Azione con l’8,9%. In Toscana 1, il centrosinistra si ferma al 33,85% e Azione arriva al 9,32, mentre il centrodestra mette la testa avanti con il 38,53%. Siccome i riparti avvengono prima a livello di coalizione e poi di partito, qualche casella si sarebbe mossa.

Focalizzare il discorso sul Senato ha senso perché a Palazzo Madama anche pochi seggi possono fare la differenza. Alla Camera, dove il centrodestra si prende 237 scranni, il ragionamento non cambia più di tanto il significato politico del risultato di domenica. Ma di certo anche alcuni candidati di peso per Montecitorio hanno pagato la mancata alleanza. Il "cattodem" Stefano Lepri, che ha perso l’uninominale Torino-San Paolo per mezzo punto, non può non guardare rammaricato all’8,5% incassato da Azione. E Stefano Ceccanti, fermatosi a poco più di 5 punti dal vincitore Edoardo Ziello, si sarebbe rimesso in pista con il 7,3% del partito di Calenda.

Letta dice: «Colpa di Calenda la mancata alleanza». Calenda replica: «Letta è stato ambiguo, colpa sua». Ma il 2 agosto avevano firmato un patto. Il 7 agosto il capo di Azione si è sfilato. Il 25 settembre li ha messi all’opposizione e ciò che non è stato ora interroga entrambi.

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