venerdì 9 ottobre 2020
Il commovente addio della senatrice 90enne agli incontri con gli studenti sulla Shoah, alla Cittadella della pace di Rondinella nell'Aretino
Il taglio del nastro a Rondinella (Arezzo)

Il taglio del nastro a Rondinella (Arezzo) - Ansa

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Non è la solita Liliana Segre grintosa, quella che commossa e quasi intimidita taglia il nastro della “Arena di Janine”, idealmente inaugurata in un prato di Rondine Cittadella della Pace, laddove entro due anni sorgerà la vera arena. Intorno a lei l’abbraccio di una folla di ragazzi giunti a Rondine da 25 Paesi per imparare la pace, materia extracurricolare nelle scuole del mondo, ma tra loro anche le massime autorità dello Stato, vari ministri e il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. L’occasione è terribilmente importante, persino “definitiva”: L’ultima testimonianza pubblica di Liliana Segre, scrivono locandine e maxischermo, ma a quella parola, ultima, non crede nessuno. “Perché continueremo noi, è venuta qui a consegnarci il testimone e noi lo raccogliamo”, è la promessa solenne dei giovani di Rondine, ragazzi arrivati dai Paesi di conflitto per vivere l’esperienza della riconciliazione insieme ad altri ragazzi, i “nemici”, e uscirne dopo due anni di alta formazione come leader di pace e agenti del cambiamento.

“Ci impegniamo noi”, le promette una studentessa bosniaca, “la tua testimonianza continuerà a costruire pace tra gli uomini attraverso le nostre vite”. Anche lei ha vissuto l’esperienza della guerra e del sentirsi “diversa” perché appartenente a un’etnia diventata da un giorno all’altro estranea. Poi Noam, israeliano, ringrazia Liliana – così oggi la chiamano tutti – e attraverso lei anche i nonni sopravvissuti alla Shoah, “vi ringrazio per aver scelto la vita dopo aver visto il peggior volto dell’essere umano. Qui siamo tutti ragazzi che hanno scelto di abitare il conflitto trasformandolo in un messaggio di speranza”.

E’ stata la stessa Segre a scegliere la Cittadella della Pace come luogo da cui iniziare “a riposare, dopo 30 anni di testimonianze nelle scuole, nelle parrocchie, nei circoli: a 90 anni è tempo di non voler più ricordare, di non voler più soffrire”. Le parole che seguiranno tra poco saranno macigni indelebili, meravigliose e atroci insieme, un contrasto vivido tra la calma con cui le pronuncerà e l’orrore che contengono. Ma per ora c’è la Liliana intimidita che taglia il nastro insieme all’amico Franco Vaccari, il fondatore di Rondine, la più visionaria delle utopie diventata realtà. Sono passati più di venti anni da quando i due si conobbero a Camaldoli, a due passi da quella che poi sarebbe stata la Cittadella della Pace nata in un intero borgo medievale alle porte di Arezzo: “Non ho mai scordato l’effetto che mi fece Rondine, allora era solo il sogno di persone di buona volontà, ma mi prese come un incantamento…”.

“Fu amore a prima, anche se sei una ragazza del ’30”, scherza per un momento Vaccari. “Ti sei messa nel fondo della coscienza e non sei uscita più”. Lo stesso effetto che a breve, con un’ora e mezza di testimonianza, susciterà in migliaia di ragazzi che la seguono in presenza o in streaming dalle scuole di tutta Italia e dall’estero. Sembra uno di loro anche Ferruccio De Bortoli, presidente del Memoriale della Shoah di Milano e moderatore dell’evento: “Da ragazzo milanese non sapevo cosa fosse accaduto in quel sotterraneo del Binario 21, dove oggi grazie a Liliana sorge il museo, perché fino alla fine del secolo scorso, il ’900, Milano non aveva sentito la responsabilità di ricordare quello che era stato l’unico luogo della deportazione: migliaia di nostri concittadini, arrivati a quella soglia, diventarono pezzi di scarto. E noi ragazzi, in un Paese che non aveva memoria, non sapevamo”.

Dove nascerà l’Arena di Janine sul terreno è dipinta l’ombra di un cancello che nella realtà non c’è. “Perché i cancelli esistono – spiega Vaccaro – ma si possono rendere ombre”.

Ma chi è Janine? Era una ragazzina francese ebrea, internata con Liliana ad Auschwitz. Una mattina, mentre le ragazze nude venivano passate in rassegna per decidere chi fosse utile al lavoro e chi dovesse andare ai forni, Janine fu scartata perché aveva due dita ferite e Liliana non ebbe il coraggio di dirle almeno una parola di commiato, “nemmeno il suo nome”. Janine è il senso di colpa di una vita. Janine è la restituzione. Janine sarà il nome della lotta ad ogni indifferenza.

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