
Famiglie sempre più ridotte e fragili - Archivio
Una fotografia dell’Italia in quattro capitoli: Economia e ambiente; Popolazione e società; Una società per tutte le età; Sistema economico e generazioni. Il Rapporto annuale 2025 dell’Istat ha raggruppato diverse indagini con un approccio integrato. Il tema delle generazioni risulta trasversale a tutti i capitoli. La XXXIII edizione illustra gli sviluppi demografici, sociali ed economici che hanno interessato l’Italia nell’anno appena trascorso e offre un contributo di analisi approfondito sui vincoli e i cambiamenti strutturali in atto, utilizzando in maniera integrata le fonti informative statistiche dell’Istituto: dal Sistema Integrato dei Registri statistici ai Censimenti permanenti alle Indagini sociali multiscopo. I primi due capitoli si concentrano sullo scenario economico e demo-sociale che ha caratterizzato il nostro Paese negli ultimi anni e in particolare nel 2024. Il terzo e il quarto approfondiscono alcuni temi attraverso analisi di più lungo periodo, in cui si considerano i cambiamenti tra le generazioni nella formazione della famiglia e nelle scelte riproduttive, nei comportamenti sociali, nell’istruzione, nelle condizioni economiche e nelle opportunità professionali.
Il quadro macroeconomico
Nel 2024 l’economia italiana ha continuato a espandersi a un ritmo contenuto, in un quadro europeo comune di basso dinamismo dell’attività. La crescita del Pil è stata pari allo 0,7% come nel 2023, inferiore rispetto a Francia e Spagna (rispettivamente l’1,2% e il 3,2%), mentre la Germania ha sperimentato una contrazione per il secondo anno consecutivo (-0,2%, -0,3% nel 2023). In Italia l’andamento dell’attività ha risentito della debolezza della domanda interna e del ridotto apporto della domanda estera, anche per via della crescita moderata dell’Ue.
Il mercato del lavoro
Nel 2024 il numero di occupati è continuato ad aumentare sensibilmente, benché a un ritmo inferiore a quello dell’anno precedente (+1,5%, dal +2,1%). La crescita dell’occupazione è prevalentemente riconducibile alla componente a tempo indeterminato, mentre quella a termine si è ridotta del 6,8%. Nel primo trimestre del 2025 si è avuto un ulteriore consolidamento: secondo le stime preliminari, a marzo l’occupazione è rimasta stazionaria, ma il livello supera dello 0,7% quello di dicembre e dell’1,9% – 450mila unità – quello di marzo 2024. A fine 2024 gli occupati hanno raggiunto i 23,9 milioni (+3,6% in media di anno rispetto al 2019); l’Italia resta tuttavia il Paese con il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni più basso d’Europa, soprattutto a causa dei livelli inferiori di partecipazione e occupazione delle componenti giovanile e femminile. Sono sempre ampi i divari di genere e territoriali: il primo stabile a 17,8 punti, quello tra Nord e Mezzogiorno in riduzione da 23,1 a 20,4 punti.
I prezzi e le retribuzioni
Nel 2024 si è consolidato il processo di disinflazione: l’aumento dell’Ipca-Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Ue, che a ottobre del 2022 aveva raggiunto il 12,6% annuo, è rallentato al 5,9% nel 2023 e all’1,1% nel 2024, il valore più contenuto tra le grandi economie europee. Nella seconda parte dell’anno e nei primi mesi del 2025 la dinamica dei prezzi ha mostrato una moderata ripresa: ad aprile (dati provvisori) l’inflazione acquisita per il 2025 ha raggiunto l’1,9% (l’Ipca è cresciuto dello 0,5 su base mensile e del 2,1 su base annua). L’aumento delle retribuzioni nominali nel biennio 2021-2022 non ha tenuto il passo con l’inflazione e solo nei successivi due anni ha iniziato a recuperare anche in termini reali: rispetto a gennaio 2019, la perdita di potere di acquisto per dipendente a fine 2022 era superiore al 15% e a marzo 2025 è pari al 10%.
La fragilità dei territori e la sostenibilità ambientale
L’Italia presenta elementi di fragilità sul piano ambientale e l’impatto sulle attività economiche dell’aumento di frequenza degli eventi estremi, attenuabili solo attraverso l’attività di prevenzione, risulta particolarmente significativo: tra il 1980 e il 2023 l’Agenzia Europea per l’Ambiente stima per l’Italia 134 miliardi di euro di perdite dovute a cause ambientali, collocandola al secondo posto nella Ue a 27 dopo la Germania con 180 miliardi e prima della Francia con 130. Un’analisi realizzata tramite l’integrazione delle basi dati territoriali con il Registro delle unità produttive ha consentito di stimare che nel 2022 il 18,2% del valore aggiunto di industria e servizi era prodotto in unità locali ubicate in territori esposti a rischi naturali di frane e sismicità elevata. Permangono elevati i rischi naturali, associati anche alla maggior frequenza di eventi climatici estremi. Oltre 2.700 comuni (circa il 35% del totale, corrispondenti al 37,3% del territorio nazionale) sono interessati da almeno una categoria di rischio.
Popolazione e società
Al 1° gennaio 2025, la popolazione residente in Italia è scesa sotto i 59 milioni. La diminuzione della popolazione, in atto dal 2014, è determinata da una dinamica naturale (saldo tra nascite e decessi) fortemente negativa. La natalità continua a calare, sfavorita dal ridotto numero di donne in età fertile: nel 2024 si sono registrate solo 370mila nascite, quasi 200mila in meno rispetto al 2008. La fecondità ha toccato un minimo storico di 1,18 figli per donna e prosegue il rinvio della genitorialità. Il saldo migratorio, pure essendo ampiamente positivo, è insufficiente a compensare la perdita di popolazione. Nel 2024 gli ingressi dall’estero sono 435mila, in aumento rispetto al periodo pre-pandemico. Crescono, tuttavia, anche le uscite: 191mila persone lasciano il Paese (+20,5% rispetto al 2023), di cui oltre 156mila cittadini italiani. Particolarmente preoccupante è l’aumento dell’espatrio tra i giovani 25-34enni laureati: 21mila nel 2023, un record storico. I rientri sono pochi, con il risultato di una perdita netta di capitale umano qualificato pari a 97mila giovani in dieci anni.
Le famiglie
Le trasformazioni demografiche in corso si riflettono sulla struttura familiare, con famiglie sempre più piccole. Quelle monopersonali superano il 35% e le coppie con figli scendono al 28,2%. Crollo della nuzialità, instabilità coniugale, bassa fecondità e posticipo della genitorialità alimentano la crescita delle famiglie ricostituite, delle coppie non coniugate, dei genitori soli non vedovi che vivono con i figli e delle persone sole non vedove: insieme, queste forme familiari rappresentano oggi oltre il 41% del totale. Si tratta di un cambiamento profondo nella struttura sociale del Paese. L’aumento delle persone che vivono da sole riguarda tutte le età, ma colpisce soprattutto gli anziani, sfiorando il 40% tra gli ultrasettantacinquenni, in maggioranza donne.
L’istruzione
Nonostante i miglioramenti riscontrati di anno in anno, il livello di istruzione della popolazione italiana resta inferiore alla media europea. Solo due terzi degli adulti hanno almeno un diploma di scuola superiore e appena uno su cinque possiede un titolo universitario. A pesare sono il basso livello di istruzione delle coorti più anziane e la scarsa diffusione dei percorsi professionalizzanti terziari brevi, come quelli degli Istituti Tecnici Superiori. L’abbandono scolastico precoce resta una criticità, in particolare tra i giovani stranieri e nel Mezzogiorno. La condizione socio-economica delle famiglie continua a incidere profondamente sui percorsi scolastici, con divari ampi legati al titolo di studio dei genitori. Sul fronte delle competenze digitali, sempre più importanti nella vita quotidiana, l’Italia nonostante i progressi mostra ancora un ritardo. Meno della metà della popolazione adulta possiede abilità digitali di base (45,8%, +0,1% dal 2021), un valore inferiore alla media europea (55,5%) e distante dagli obiettivi del decennio digitale (80% nel 2030). Persistono forti differenze territoriali tra il Mezzogiorno e il resto del Paese e si rileva un divario generazionale molto ampio tra adulti e giovani, in larghissima parte associato ai livelli di istruzione.
Le condizioni economiche delle famiglie
La povertà assoluta coinvolge nel 2023 l’8,4% delle famiglie residenti (2,2 milioni di famiglie e 5,7 milioni di persone), in particolare famiglie con figli, giovani, stranieri e residenti nel Mezzogiorno. Rispetto al 2014, l’incidenza è aumentata di oltre 2 punti percentuali a livello familiare e di 2,8 punti a livello individuale. Le famiglie con minori restano le più esposte alla povertà assoluta: nel 2023 l’incidenza raggiunge il 12,4% (13,8% a livello individuale), con un incremento di oltre 4 punti rispetto al 2014. I minori in povertà assoluta sono circa 1,3 milioni. L’incidenza della povertà assoluta diminuisce con l’età. È pari al 6,2% tra le famiglie con persona di riferimento di 65 anni e più e scende al 5,7% per quelle di soli anziani, contro 11,3% delle famiglie di soli giovani. Le famiglie composte solo da stranieri sono colpite in modo molto più severo: tra queste, nel 2023, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge il 35,1% (569mila famiglie), contro il 6,3% tra le famiglie composte esclusivamente da italiani (un milione e 520mila famiglie).
Le condizioni di salute
Nel 2024 si è raggiunto un nuovo massimo storico dell’aspettativa di vita (gli uomini possono contare di vivere in media 81,4 anni e le donne 85,5). A fronte di questi recuperi di longevità, conseguiti nel periodo post-pandemico, l’indicatore che stima gli anni attesi di vita in buone condizioni di salute continua a ridursi. Per gli uomini la speranza di vita in buona salute osservata nel 2024 (59,8 anni) segna il riallineamento a quella del 2019. Per le donne, invece, la stima di 56,6 anni segna il punto di minimo dell’ultimo decennio: in un solo anno si stima, pertanto, che le donne abbiano perso 1,3 anni di vita in buona salute, ampliando il noto divario a loro svantaggio (-3,2 anni). Il primato di longevità del nostro Paese si deve anche ai livelli contenuti di mortalità evitabile, ovvero i decessi sotto i 75 anni che potrebbero essere ridotti o prevenuti attraverso interventi efficaci di sanità pubblica, controllo dei fattori di rischio e adeguata assistenza sanitaria. Le criticità nell’accesso ai servizi sanitari si manifestano anche nella rinuncia alle cure, dovuta a motivi economici, organizzativi o legati all’offerta. Dal 2019 è in aumento anche il disagio psicologico: questo fenomeno interessa molti Paesi Ocse e coinvolge in particolare gli anziani, ma è in crescita tra i giovani, soprattutto donne.