giovedì 24 aprile 2025
Nell'ultimo Giovedì Santo Francesco aveva visitato i ristretti di Regina Coeli e a dicembre aveva aperto una Porta Santa a Rebibbia: ultimi segni di una prossimità concreta e spirituale ai carcerati
Nel suo ultimo giovedì santo il Papa ha voluto incontrare alcuni ristretti di Regina Coeli

Nel suo ultimo giovedì santo il Papa ha voluto incontrare alcuni ristretti di Regina Coeli - ANSA

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«Perché voi e non io?». Davanti ai carcerati, che durante il suo pontificato ha incontrato per sedici volte nei penitenziari italiani e all’estero, papa Francesco se lo è domandato spesso. L’ultima soltanto pochi giorni fa mentre usciva dalla casa circondariale di Regina Coeli a Roma dove – pur in convalescenza e con una semplice visita privata – non aveva voluto rinunciare a incontrare una settantina di detenuti in occasione del Giovedì Santo. Una tradizione, quella di celebrare oltre le sbarre la Messa in Coena Domini, cominciata in Argentina nel 1999, quando l’allora neo-arcivescovo di Buenos Aires visitò un gruppo di detenuti del carcere di Villa Devoto; e poi diventata fil rouge del pontificato di Bergoglio che proprio all’indomani dell’elezione al soglio pontificio, il 28 marzo 2013, decise di andare a lavare i piedi a dodici giovani reclusi nella capella dell’istituto romano per minorenni Casal del Marmo. Da allora praticamente ogni anno Francesco si ritrovò a ripetere il gesto in un penitenziario diverso. «A me piace fare tutti gli anni quello che ha fatto Gesù il Giovedì Santo – ricordava lo stesso pontefice giovedì scorso – in carcere. Quest’anno non posso farlo, ma posso e voglio essere vicino a voi. Prego per voi e per le vostre famiglie».

Attraverso visite o semplici chiamate ai carcerati, papa Francesco ha dimostrato ai ristretti una vicinanza concreta ma anche una prossimità spirituale, tesa sempre ad annullare la differenza, apparentemente enorme, tra chi sta dentro al carcere e chi rimane fuori. Come se i detenuti fossero la categoria emblematica di quegli ultimi per i quali si è speso, perché i ristretti sono emarginati dalla società anche fisicamente e già visivamente. «Io non ho il coraggio di dire a nessuna persona che è in carcere: “Se lo merita”. Perché voi e non io? – ribadiva davanti ai reclusi di San Vittore a Milano nel 2017 – Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me, noi siamo fratelli peccatori». Per il Papa la vicinanza ai carcerati era tale che per portare il dono della speranza, tema dell’intero Anno Santo, in un luogo di reclusione e ristrettezze, lo scorso 26 dicembre Francesco aveva voluto aprire la Porta Santa nella chiesa del Padre Nostro, all’interno del carcere romano di Rebibbia con un gesto che ha fatto la storia: è stata la prima volta che un pontefice ha aperto una Porta Santa non in una basilica ma all’interno di un penitenziario che, però, come dichiarò lui stesso, per un giorno è diventato esso stessa «basilica» . «Io – fu allora il commento del Pontefice – ho voluto spalancare la Porta oggi, qui. La prima l’ho fatta a San Pietro, la seconda è vostra. È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere, per questo la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire, e soprattutto, aprire i cuori alla speranza. Vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi».

Nel 2016, in occasione di un altro Giubileo, quello straordinario della Misericordia, Francesco aveva voluto che la porta di ogni cella fosse considerata Porta Santa e aveva poi previsto un Giubileo dei carcerati convocandone una delegazione in piazza San Pietro, alla quale aveva ribadito: «Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto».

Francesco non ha mai perso occasione nemmeno di usare il suo ruolo per denunciare i problemi delle carceri italiane, dal sovraffollamento ai suicidi. «Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate, con conseguenti tensioni e fatiche – osservava un anno fa in visita alla Casa circondariale di Montorio, a Verona –. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria. Seguendo le cronache del vostro istituto, con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto triste, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare». Con la Spes non confundit, la bolla con cui indiceva il Giubileo 2025, Francesco proponeva allora ai governi di assumere iniziative che restituissero speranza come «forme di amnistia» o di «condono della pena» per «aiutare le persone a recuperare fiducia in se stesse e nella società». Il valore rieducativo della pena e il reinserimento sociale era, secondo il Papa, un’espressione dell’universalità della Chiesa sempre pronta ad abbracciare tutti, compresi gli ultimi e i reietti trattenuti dietro alle sbarre.

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