martedì 9 marzo 2021
L'atleta Lara Lugli racconta la sua vicenda su Facebook. Il presidente del Volley Pordenone si difende: eravamo felici per la gravidanza, ci siamo opposti a un'ingiunzione di un rimborso non dovuto
Lara Lugli

Lara Lugli - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Che la nostra società dica di celebrare le donne ma poi si dimentica delle madri è purtroppo una triste verità. Ci voleva allora lo sport e la forza di una “schiacciata” social per ricordarcelo: è amarissimo il post scritto su Facebook da una pallavolista, Lara Lugli, che racconta la surreale vicenda di cui è suo malgrado protagonista. Giocatrice 41enne, con diversi trascorsi in serie A, oggi deve affrontare un contenzioso legale con il Volley Pordenone (ora ribattezzato Maniago Pordenone) club in cui giocava in serie B1 nel campionato 2018/2019.

Tutto dunque risale a due anni fa: «Rimango incinta e il 10 marzo comunico alla società il mio stato, si risolve il contratto», scrive Lara, che il mese successivo avrebbe perso anche il bambino a causa di un aborto spontaneo. La pallavolista chiedeva il pagamento dell’ultima mensilità prima dell’interruzione del contratto, «lo stipendio di febbraio per il quale avevo lavorato e prestato la mia attività senza riserve». Richiesta negata (circa mille euro). E anzi, spiega Lara, «vengo citata per danni» dal Pordenone perché avrebbe violato il contratto «vendendo prima la sua esperienza con un ingaggio sproporzionato » e nascondendo poi la sua volontà di essere madre. Una scelta che ha portato la squadra a doversi privare di lei a stagione in corso, perdendo di conseguenza molti punti sul campo e infine anche lo sponsor causando così «un grave danno al club».

La pallavolista ovviamente non ci sta: «Al momento della stipula del contratto avevo ormai 38 anni e, data l’ormai veneranda età, secondo loro dovevo in primis informarli di un eventuale mio desiderio di gravidanza, che la mia richiesta contrattuale era esorbitante in termini di mercato e che dalla mia dipartita il campionato è andato a scatafascio». Da qui il suo sfogo: «Anche se non sono una giocatrice di fama mondiale questo non può essere un precedente per le atlete future che si troveranno in questa situazio- ne, perché una donna se

rimane incinta non può conferire un danno a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo». La società oggi smentisce e parla di «verità ribaltata». Il presidente del Volley Pordenone, Franco Rossato, racconta la sua versione: «All’epoca abbiamo salutato con grande gioia la maternità. Secondo quanto era scritto nel contratto, proposto dal suo agente, in caso di interruzione anticipata si sarebbero attivate clausole penalizzanti per l’atleta. Di fronte alla maternità ci siamo limitati a interrompere consensualmente il rapporto mantenendoci in costante contatto con la giocatrice anche nel doloroso momento che ha affrontato poche settimane dopo. Ad un tratto molti mesi dopo – riferisce il presidente – abbiamo ricevuto la comunicazione del suo legale per presunte spettanze. Solo quando ci è arrivata l’ingiunzione di pagamento ci siamo opposti e abbiamo attivato le clausole del contratto. Citare le parole del freddo atto serve a farci sembrare dei mostri, quando invece ci siamo solo difesi di fronte alla richiesta di un rimborso non dovuto».

Ma il caso resta e scuote non solo la pallavolo ma anche tutto il mondo dello sport. Tant’è vero che sono arrivate le dichiarazioni solidali delle colleghe atlete di altre discipline. Sconcertata Jessica Rossi, oro ai Giochi olimpici di Londra 2012 nel trap femminile di tiro a volo: «Non me l’aspettavo potesse accadere nello sport. Auguro a tutte le donne di fare la propria vita e portare avanti il loro essere donna». Dello stesso avviso Tania Cagnotto, campionessa di tuffi da poco diventata mamma per la seconda volta: «Questa vicenda mi suscita rabbia e delusione. Il problema è che le donne atlete non sono tutelate come lo sono le donne sul posto di lavoro – ha aggiunto –. Non trovo giusto che le abbiano addirittura chiesto i danni. Capisco possa esserci una situazione di disagio, ma non trovo corretto quanto è accaduto».

E a difesa della pallavolista arriva anche Assist, l’associazione che si batte per la tutela dei diritti delle sportive e denuncia che alla base c’è il mancato riconoscimento del professionismo femminile, oltre a una consuetudine che è ininterrotta da anni. Chiede pertanto un incontro al premier Draghi e al presidente del Coni, Malagò, per sanare una situazione purtroppo non nuova. La pallavolo per esempio è ancora scossa dal caso della Lloyd, la palleggiatrice americana di Casalmaggiore insultata sui social per la sua gravidanza, costretta a rescindere e tornata negli Usa. Per una curiosa coincidenza, la «breve storia triste» di Lara Lugli, così come l’ha definita lei stessa, è esplosa nel momento in cui sta facendo il giro del mondo una foto della cestista argentina Antonella González.

La giocatrice del Rocamera, in prima divisione, in una pausa del match allatta la figlia Madeleine di 11 mesi. Un gesto semplice e naturale, di una madre che allatta la sua bimba eppure ha suscitato tanto clamore, di ammirazione e tenerezza. «Essere mamme non impedisce di essere anche atlete» dice lei con fierezza. Ma la foto stupisce tanto perché spesso dimentichiamo che la grandezza di una donna va ben oltre un campo sportivo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: