mercoledì 6 febbraio 2019
Nella Giornata mondiale su “Tolleranza zero sulle mutilazioni genitali femminili” la kenyana Nailantei Leng’ete racconta come, quando aveva 9 anni, ha detto "no" all'orribile usanza della sua tribù
Nice, 27 anni, in mezzo a un gruppo di ragazze del suo villaggio in Kenya

Nice, 27 anni, in mezzo a un gruppo di ragazze del suo villaggio in Kenya

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È arrivata in Europa per raccontare ancora una volta la sua storia di coraggio e ribellione, a portare parole di speranza per le bambine e le ragazze costrette a seguire l’orribile pratica dell’amputazione dei genitali imposta da antiche usanze tribali. Nice Nailantei Leng’ete, kenyana, 27 anni, è la portavoce di Amref, un'organizzazione sanitaria no profit presente in Africa. Testimone di libertà, simbolo di redenzione sociale ed umana, sostegno per migliaia e migliaia di giovani donne. Martedì era a Milano per partecipare a un incontro pubblico e oggi, in occasione della Giornata mondiale “Tolleranza zero su mutilazioni genitali femminili” è ospite del Parlamento europeo a Bruxelles dove interviene a una tavola rotonda. Nice continua a lanciare un messaggio forte contro il muro d’indifferenza che si oppone al fenomeno, diffuso anche nel Vecchio continente nel quale si stima siano 550mila le donne vittime dell’asportazione della clitoride e del suo prepuzio (solo in Italia sarebbero circa 80mila). Ma in tutto il mondo, e in particolare in Africa, in Medio-oriente e Indonesia coloro che hanno subito il famigerato “taglio” raggiungono i 200 milioni, di cui 44 milioni hanno meno di 14 anni. Sono quelle che purtroppo non ce l’hanno fatta a sottrarsi, a fuggire o a capire.

Nice abitava in un villaggio masai ai piedi del Kilimangiaro e aveva 9 anni quando un giorno i genitori e gli zii le dissero che avrebbe dovuto sottoporsi all’infibulazione per trovare marito, senza più andare a scuola: «Scappai di casa alle 4 del mattino e corsi per 20 chilometri nella savana piangendo» racconta. La bimba andò dal nonno, pregandolo di aiutarla, non voleva essere mutilata, desiderava continuare a studiare. Non fu facile ma riuscì a convincere il vecchio a esercitare la sua influenza di capostipite ordinando ai familiari di non intervenire con questa truce pratica sulla piccolina. Nice tornò nel suo villaggio ma venne insultata e spesso picchiata per essersi opposta ai voleri dei familiari e aver infranto una regola di convivenza: allontanata perché ritenuta impura, indegna di appartenere alla comunità. «Quando ti fanno il taglio non devi gridare, le braccia e le gambe vengono legate, la bocca deve rimanere serrata, gli occhi fissi, se provi a urlare provocherai il disonore della tua famiglia» spiega Nice che dal giorno in cui disse “no” è diventata una nomade. Ha preso di nuovo coraggio, è andata a parlare con gli anziani Moran (i guerrieri masai che vivono nella foresta), si è informata sui danni delle mutilazioni genitali e ha cominciato a spiegare ai capi tribù le conseguenze pericolose e terribili di questa pratica che mette a rischio la vita stessa delle donne. E provoca fastidi cronici, dolore, sanguinamento, infezioni. Alcuni tagli determinano l’infertilità, l’incapacità di partorire per via naturale e possono causare anche la morte dei neonati.

Da allora Nice conduce la sua battaglia al grido di «never again» e «stop the cut». Tiene conferenze in giro per il mondo, è stata inserita nella lista delle persone più influenti d’Africa. Grazie a lei oltre 10mila bambine si sono salvate dall’orribile “taglio”. Sabato sarà a Roma per incontrare le comunità africane. Perché nessuno può fermare Nice e la sua voglia di salvare la dignità e la salute delle donne.

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