Natalità, l’ipotesi per la manovra: un super-bonus per le madri
Il Mef studia una maxi-detrazione per le mamme lavoratrici che, partendo da 2.500 euro al primo figlio, salirebbe fino a 20mila euro con 4 figli. Da valutare se ci saranno i fondi necessari

Per ora è solo un’ipotesi suggestiva, un primo “mattoncino” in vista del progetto di costruzione della prossima Legge di bilancio, da definire a ottobre. Il progetto però c’è e ha un obiettivo preciso: arrivare ad un sistema che sostituisca le attuali detrazioni fiscali individuali con benefici parametrati in base al numero di figli e membri del nucleo familiare. Insomma, una super-detrazione per le madri che lavorano come misura “forte” per continuare a dare una risposta all’emergenza denatalità che assilla il governo Meloni. Non a caso, non più tardi di una decina di giorni fa anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in un’audizione alla Commissione sulla transizione demografica aveva accennato all’esigenza di introdurre «specifiche detrazioni che influenzino l’offerta di lavoro femminile». Da qui l'ipotesi allo studio del Mef, anticipata oggi dal giornale il Messaggero e confermata al Tesoro: dal prossimo anno potrebbe debuttare una nuova super detrazione per le mamme con figli. Quindi non un contributo economico, ma un maxi-sgravio che, peraltro, spetterebbe solamente alle lavoratrici madri, escludendo i padri, tranne in caso di incapienza (cioè d’impossibilità di beneficiarne al 100% perché i redditi sono troppo bassi) delle prime, quando potrebbe essere “ceduto” in parte all’altro genitore.
La detrazione sarebbe super per le dimensioni: all’interno del disegno di rimodulare le detrazioni oggi riconosciute a single e uomini per dare più soldi invece alle lavoratrici con figli, la misura arriverebbe a 2.500 euro per il primo figlio, per salire poi a 7.500 euro (aggiuntivi ai 2.500) alla nascita del secondo. L’importo aggiuntivo passerebbe, poi, a 12.500 euro per il terzo e a 17.500 euro al quarto figlio, per una media quindi di 5mila euro a figlio. Sarebbe, insomma, un nuovo tentativo di quoziente familiare dopo quello introdotto un anno fa e applicato sulle detrazioni complessive.
Si tratta - è bene ribadirlo - soltanto di una schema di partenza, elaborato per smuovere le acque su un tema, quello della natalità, che sta a cuore all’esecutivo. Resta ancora tutta da capire la compatibilità con il quadro generale dei conti pubblici, per di più in un Paese che è sotto procedura d’infrazione per deficit eccessivo e che non potrà far salire tutte le spese correnti più dell’1,5% del Pil. Oltre all’impegno necessario per cominciare ad alzare le spese per la difesa verso l’obiettivo Nato del 3,5+1,5%. Inoltre c’è da valutare come questo progetto posso convivere con i fondi già “opzionati” da altri interventi annunciati a più riprese dalla maggioranza, a partire dalla riduzione dell’Irpef per il ceto medio con il taglio del secondo scaglione dal 35 attuale al 33%. Mentre chiaramente un intervento simile andrebbe a sostituire le altre misure finora introdotte dal governo Meloni, come il bonus, al posto della decontribuzione, per le mamme con 2 figli che scade a fine anno (ne parliamo proprio oggi nella rubrica a pagina 15) e quello per le madri con 3 figli che scade a fine 2026.
Il tema delle compatibilità verrà affrontato dopo l’estate. Per ora c’è il dato politico di “voler fare qualcosa” di significativo. Subito colto da Adriano Bordignon, presidente del Forum delle associazioni familiari, che parla di «segnale incoraggiante» e si dice «disponibile al confronto». Mentre torna sul tema delle risorse un esponente del centrodestra come Marco Osnato, presidente (FdI) della commissione Finanze della Camera: «Lo sforzo per trovarle sarà notevole, ma qua se non invertiamo la tendenza nel futuro sarà più difficile pagare le pensioni». Il punto centrale resta questo.
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