sabato 24 novembre 2018
Allarme raccolto dalle navi delle Ong Proactiva Open Arms e Mediterranea: «Alcuni sono annegati»
(Mich Seixas / Operazione Mediterranea)

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Un peschereccio battente bandiera spagnola con a bordo una dozzina di profughi partiti dalle coste libiche e soccorsi dai pescatori iberici a ridosso dell’area di ricerca e soccorso di Tripoli. È stato questo il primo allarme ricevuto dalla nuova missione umanitaria nel Canale di Sicilia. Ma neanche il tempo di modificare la rotta che un nuovo e più grave allarme è arrivato da un telefono satellitare: 120 persone su un barcone semi-affondato partito dalla Libia. «Alcuni sono morti annegati», ha gridato in arabo una voce mentre implorava aiuto.

È cominciata così la missione congiunta di Operazione Mediterranea, Open Arms e Sea Watch e dell’aereo Moonbird dei "Pilotes Volontaires", che nella notte hanno lottato contro il tempo per raggiungere i naufraghi. Tra loro vi sarebbero stati almeno dieci bambini.

Al corrente della richiesta di soccorso fin dal pomeriggio alle 16 ci sono le autorità italiane e quelle libiche, ma queste ultime hanno smesso di rispondere al telefono. Una prassi tipica della Guardia costiera libica che non di rado, interviene in mare senza rispondere alle Ong né alle autorità italiane, in modo da depistare i soccorritori e intercettare i migranti che verranno riportati nei campi di detenzione. È così è successo anche ieri: in serata il coordinamento dei soccorsi di Roma ha comunicato che sarebbe intervenuta una nave offshore libica dalle vicine petroliere di Zabrata, che però non ha fornito né la posizione né la distanza dal gommone.

Altre 82 persone sono state soccorse da motovedette della Guardia di finanza italiana a poca distanza dall’Isola di Lampedusa. Su un barcone c’erano 14 tunisini, di cui 6 minori e 4 donne. Nella seconda imbarcazione, invece, c’erano 68 persone fra cui 3 donne. I due gruppi, dopo l’approdo al molo Favarolo, sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola dove sono stati sottoposti alle visite mediche e dove è stata avviata l’identificazione.

Quella tornata da ieri nel Canale di Sicilia è «una flotta umanitaria aperta a tutti i cittadini», una «alleanza per un’Europa solidale» sostenuta dalla società civile, e soprattutto è già attiva nella primissima operazione di soccorso congiunta nel Mar Mediterraneo, con a bordo anche giornalisti di testate internazionali, tra cui Cnn, Reuters, Associated Press, Avvenire e Repubblica. Primo obiettivo? Andare incontro a un peschereccio battente bandiera spagnola con a bordo una dozzina di profughi, di differenti nazionalità. È stata la stessa Open Arms a ricevere la segnalazione intorno alle 16: a bordo si sapeva che ci fossero migranti sudanesi, egiziani, somali e nigeriani probabilmente partiti dalla costa libica, nei pressi di Khoms e diretti verso l’Italia. Si tratta di una «staffetta del soccorso» che vede l’Open Arms tenere le fila dell’operazione coordinando la comunicazione radio e seguita a ruota dal rimorchiatore Mare Jonio e dalla nave tedesca Sea Watch 3.

Dopo che il «Maritime rescue coordination centre» di Madrid ha dato il via libera, è intervenuto il capo missione di Open Arms Riccardo Gatti – ospite sulla plancia della Mar Jonio (per partecipare grazie al collegamento Skype alla conferenza stampa di Roma, ndr) – . Dopo queste prima operazione si andrà avanti con questa nuova alleanza per un’"Europa solidale", in mare e a terra, grazie a una flotta – come spiegato in conferenza stampa – sostenuta da una solida rete di città solidali, movimenti e organizzazioni della società civile in tutto il mondo, uniti dall’obiettivo comune di difendere diritti fondamentali come la vita e la dignità - spiegano le tre Ong nel manifesto europeo “United4Med” -. «Dimostreremo che la società civile è capace non solo di sperare in una nuova Europa ma di saper costruire società democratiche che tornino a difendere la vita in mare e a organizzare un sistema di accoglienza più giusto. La nostra – ribadiscono – è una chiamata all’impegno rivolta a tutte le città europee, ai sindaci, ai cittadini, ai movimenti, alle organizzazioni, alla società civile e a chiunque creda nella nostra missione, affinché si unisca a noi, affinché sia parte della nostra alleanza civile e combatta insieme a noi per un futuro di rispetto e uguaglianza».

Il Mar Mediterraneo è diventato il confine più pericoloso al mondo con oltre 17mila morti negli ultimi 5 anni. «La perdita – affermano ancora le tre organizzazioni non governative – di queste vite umane ha avuto un prezzo altissimo, ha significato per l’Europa la rinuncia alle tradizioni democratiche su cui è fondata, ai suoi valori di solidarietà e di rispetto dei Diritti umani, mentre il fallimento delle sue politiche migratorie ha messo in discussione i principi fondanti dell’Unione stessa».

È sempre la Libia a suscitare timori. «Siamo estremamente preoccupati per la mancanza di informazioni ufficiali sullo stato di salute degli 81 migranti e rifugiati fatti sbarcare con la forza dalla nave Nivin nel porto di Misurata in Libia, nonostante le leggi internazionali e marittime prevedano in queste situazioni lo sbarco in un luogo sicuro», afferma in una nota l’Ong Medici senza Frontiere, riferendo che «alla nostra équipe presente sul luogo è stato impedito di continuare a fornire assistenza a queste persone. Tra loro ci sono minorenni, persone vittime di tratta e sopravvissuti alla tortura».

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