lunedì 24 agosto 2015
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Rimini, America: quest’anno la presenza degli Usa al Meeting è molto evidente, molto interessante. Merito anzitutto della mostra “I Am Exceptional”, che dà voce all’esperienza dei cosiddetti “Millennials”, i giovani che oggi non hanno più di trent’anni e che oltreoceano sono protagonisti di un vivace dibattito. “Siamo considerati la generazione dei social network e del narcisismo – spiega una delle curatrici, Martina Saltamacchia, medievista all’Università di Omaha, in Nebraska –. Un comune percorso di riflessione sulla vita di don Giussani ci ha però aiutati a capire come le attese dei ragazzi di oggi siano in realtà la testimonianza di una ricerca più profonda, che lascia traccia di sé nelle canzoni, nei post su Facebook, perfino nei selfie”. Tutti linguaggi ai quali la mostra fa ricorso, coinvolgendo e sorprendendo il visitatore. Al Meeting, inoltre, c’è l’America dei grandi ospiti. Come l’architetto James Biber, al quale si deve tra l’altro il Padiglione Usa a Expo 2015: “Oggi troppo spesso gli edifici esprimono anzitutto la personalità di chi li ha progettati – spiega –. A me invece sembra più importante rispettare l’identità del committente, che si tratti di una nazione come in questo caso o di una grande azienda come la Harley Davidson, per la quale ho costruito un museo a Milwaukee, nel Wisconsin”. Spicca, tra tante altre, la presenza di Timothy Shriver: classe 1955, è figlio di Eunice Kennedy, una delle sorelle del presidente John Fitzgerald. Laureato a Yale e alla Catholic University, Tim racconta che a influenzare in modo particolare la sua vita è stata un’altra zia, Rosemary, la più fragile dei Kennedy. Da lei, e dall’amore costante riservatole dalla madre Eunice, Tim ha sviluppato l’attenzione per la disabilità mentale che oggi lo porta a essere presidente delle Special Olympics. “Che non sono paralimpiadi, ma davvero olimpiadi speciali – sottolinea –, pensate per dare un’occasione a quel 2% della popolazione mondiale che soffre di un deficit intellettivo”. Shriver è attivo in molti campi, dall’educazione al cinema, dove si è distinto come produttore di film importanti (tra cui Amistad di Steven Spielberg), ma anche per la dura contestazione di Tropic Thunder, una parodia degli action movie nella quale la parola “ritardato” era metodicamente adoperata come un insulto. Fully Alive  (“Vivo in ogni senso”) è il titolo del suo libro uscito con grande successo negli Usa lo scorso anno e a questa vitalità Shriver ha dato voce trasformando il suo intervento al Meeting in un happening di forte impatto emotivo. Il pubblico è stato invitato a identificarsi in un atleta disabile, a fare il sito per se stesso, a interrogarsi su che cosa significa veramente accettazione ed esclusione. “Abbiamo tutti bisogno di abbandonarci alla nostra vulnerabilità o, meglio, alla paura di essere vulnerabili – avverte –. Ma smettere di avere paura è possibile, perché noi tutti partecipiamo di Cristo e sappiamo Dio è presente nella debolezza, così come lo è nella bellezza”.
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