martedì 19 dicembre 2023
Anticipazione: il nuovo dossier del segretario generale indica nelle istituzioni libiche i responsabili del traffico di esseri umani, trasferiti dalle autorità nei campi di prigionia clandestini
Uno dei campi di prigionia clandestini in Libia. L'Onu non è autorizzata a entrare

Uno dei campi di prigionia clandestini in Libia. L'Onu non è autorizzata a entrare - Archivio Avvenire

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Mentre il segretario generale dell’Onu si apprestava a consegnare il suo rapporto annuale sulla Libia, nella capitale i clan armati affiliati al presidente Dbeibah aprivano il fuoco sui tifosi di una squadra ospite. Perché fosse chiaro che in Libia neanche nel calcio c’è spazio per chi fa il tifo contro i padroni di Tripoli. Anche di questo parla il dossier di Antonio Guterres, che già nei mesi scorsi era riuscito a ottenere con un voto all’unanimità del Consiglio di sicurezza l’inasprimento delle sanzioni per i boss dei traffici libici.

E sono ancora loro i protagonisti del nuovo atto d’accusa. Che compie un doppio salto in avanti, nella direzione indicata dalle indagini della Corte penale internazionale e degli ispettori Onu a Tripoli.

Per la prima volta Guterres accusa le istituzioni libiche di essere complici della deportazione di migranti e profughi nei campi di prigionia clandestini. «Molte delle persone intercettate - si legge nel report del segretario generale- sono state successivamente trasferite in centri di detenzione ufficiali, ai quali le Nazioni Unite hanno accesso limitato, e altre in centri di detenzione non ufficiali, ai quali le Nazioni Unite e gli attori umanitari non hanno accesso». Sono le autorità a consegnare i sopravvissuti alle traversate direttamente nelle mani dei trafficanti. Molti dei quali rispondono direttamente agli ufficiali della guardia costiera e ai capo delle milizie affiliate a vari ministeri del governo centrale.

I meccanismi criminali permettono di massimizzare i profitti ottenendo fondi ed equipaggiamento da Paesi come l’Italia e dall’Ue, oltre che il denaro dai prigionieri per venire liberati nuovamente liberati e rimessi sui barconi. Dopo che le denunce avevano fatto il giro del mondo e in seguito alle pressanti richieste dell’Onu per ispezionare il campo di prigionia ufficiale di Zawyah, una delle principali piattaforme logistiche del traffico internazionale di persone, armi, petrolio e droga, i clan hanno pensato di nascondere i crimini, come aveva scoperto e denunciato il gruppo di ispettori internazionali a ottobre, replicando «lo stesso schema di atti violenti commessi in una struttura di detenzione segreta per migranti, vale a dire il centro di detenzione di Al-Zahra, noto come “Prigione 55”, a Warshafanah», nell’entroterra di Zawyah, non lontano dalla principale raffineria libica, e sotto il controllo diretto di alcuni ufficiali della Marina militare libica.

Su “Avvenire” del 20 dicembre il servizio completo sul dossier Libia

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