lunedì 28 aprile 2025
L’arcivescovo Isacchi: 4 secoli fa venne portato in Cattedrale il Santissimo Crocifisso per la liberazione dal contagio, oggi faremo altrettanto contro un altro male
Biglietti, fiori e uno striscione nel luogo dove è avvenuta la strage

Biglietti, fiori e uno striscione nel luogo dove è avvenuta la strage - ipa-agency.net

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Nei giorni dopo la strage, a Monreale resta un incancellabile dolore rappreso, attaccato alle persone e ai luoghi. La deliziosa cittadina arabo-normanna in provincia di Palermo, sede di un significativo tesoro monumentale, con la sua Cattedrale patrimonio Unesco, si racconta, con sgomento, l’accaduto, come se fosse un incubo. Una sparatoria nella notte tra sabato e domenica ha portato morte e devastazione, nei pressi un pub. Tre le vittime, tre ragazzi, tre foto che sono approdate ovunque nelle stazioni del web: Salvatore Turdo, 23 anni, Massimo Pirozzo, 26 anni, Andrea Miceli, 26 anni, deceduto successivamente in ospedale.

C’è un fermato e avrebbe inizialmente ammesso le sue responsabilità, per poi chiudersi nel silenzio. Si chiama Salvatore Calvaruso, è un diciannovenne originario dello Zen, quartiere palermitano simbolo di degrado e lotta per la speranza. I monrealesi si preparavano a uno dei momenti più sentiti, la festa del Santissimo Crocifisso. Gli appuntamenti in programma sono stati annullati.

La voce più profonda che raccoglie i segni di un trauma, offrendo una prospettiva, è quella dell’arcivescovo Gualtiero Isacchi, intervenuto più volte. «Ci sono sentimenti di dolore, di preoccupazione e di sofferenza – dice l’arcivescovo –, per un fatto che ci ha colpiti profondamente. I giovani sono scossi, le famiglie impaurite. In questo clima, si rischia di affidarsi a parole che sono inutili, fuori luogo e che non ci aiutano a vivere l’accaduto. Ecco perché, credo che questo sia il tempo del silenzio e della preghiera». Non ci sarà la processione del Santissimo Crocifisso, spiega monsignor Isacchi, «ma, come accadde nel 1625 quando l’arcivescovo Venero portò il Crocifisso in Cattedrale per chiedere la liberazione di Monreale dalla peste bubbonica, porteremo l’effige del Santissimo Crocifisso in Cattedrale per una veglia di preghiera nella quale chiederemo di essere liberati dalla nuova peste: la peste della violenza. Il Crocifisso attraverserà la strada dell’esecuzione mafiosa del capitano Emanuele Basile nel 1980, e poi si soffermerà nel tratto di strada dove è avvenuta la sparatoria di sabato notte: entrambi simboli di una violenza disumana alla quale vogliamo dare la risposta della croce».

La conclusione è un invito: «Dobbiamo smettere di alimentare la violenza in ogni sua forma e manifestazione. La mamma di uno dei ragazzi uccisi ha supplicato gli amici di suo figlio, che erano a casa sua e che dicevano di volersi vendicare, di non fare niente perché troppe mamme stanno piangendo i figli defunti e le mamme degli assassini non devono patire lo stesso dolore. Il cuore delle mamme assomiglia al cuore di Dio. È questa la via che dobbiamo percorrere».

Monreale è come sospesa nella dimensione dell’angoscia. Il sindaco, Alberto Arcidiacono, non fa altro che correre. Va dai carabinieri, parla con tutti, conforta i familiari e trova anche il tempo per rispondere al telefono. «La nostra pena è fortissima – sussurra – non si riesce a metabolizzare tanta crudeltà contro dei ragazzi fantastici. Le famiglie delle vittime – continua Arcidiacono – affrontano il momento con compostezza e una grande capacità di reagire». Marco Intravaia è una figura popolare nella cittadina a cui la sua famiglia è legatissima. Deputato regionale, figlio di Domenico, vicebrigadiere caduto a Nassirya. «Viviamo sotto choc, perché non siamo abituati a vicende del genere – dice –. Potevo esserci io, con la mia famiglia. Potevano esserci i miei figli...». Sul luogo della tragedia sono spuntati bigliettini, messaggi e fotografie, accanto alle fioriere con i buchi dei proiettili. Ci sono striscioni, abbracci, e lacrime. Si avverte la necessità di salvare almeno la memoria dei ragazzi assassinati. Una via, forse l’unica, per provare a risvegliarsi dall’incubo.

Intanto, sul fronte delle indagini, si è appreso che i video delle telecamere di sorveglianza e le testimonianze accusano Salvatore Calvaruso, il 19enne originario dello Zen, fermato per la strage. Ma le indagini vanno avanti. Sarebbero stati infatti di più i giovani arrivati da Palermo, coinvolti nella rissa di sabato che ha preceduto la sparatoria. La Procura di Palermo contesta il reato di strage. «Sparando molteplici colpi (sulla base dei rilievi della polizia giudiziaria sono stati rinvenuti più di 20 bossoli), ad altezza d'uomo - si legge nel provvedimento di fermo - (alcuni proiettili hanno colpito delle fioriere alte circa un metro, un altro ha infranto il parabrezza anteriore di un'auto parcheggiata sulla strada) in un tratto di strada molto affollato».

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