venerdì 24 febbraio 2023
L'arcivescovo di Perugia-Città della Pieve all’incontro prima della partenza della Marcia per la pace. «È stata un’invasione tragica, per l’Ucraina e per la convivenza degli Stati»
Monsignor Ivan Maffeis

Monsignor Ivan Maffeis - Imagoeconomica

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«Sostenere la causa della pace non significa arrendersi alla prepotenza e alla dittatura, ma promuovere una non-violenza attiva contro l’ineluttabilità della guerra, e ostinata nel perseguire canali diplomatici. Quella costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria». Monsignor Ivan Maffeis, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, non è voluto mancare all’incontro prima della partenza della Marcia della pace. Esortando il popolo pacifista a impegnarsi come per l’Ucraina anche per l’Iran o il Nicaragua.

In Europa la caduta del muro di Berlino aveva suscitato grandi speranze. Siamo ripiombati in un clima peggiore della Guerra fredda.

Sì, ci troviamo in situazione segnata da una profonda frattura Est-Ovest, un nuovo muro più invalicabile. In questo clima, sono parole del Papa, «si compie un anno dall’invasione dell’Ucraina, guerra assurda e crudele. Un triste anniversario! Il bilancio di morti, feriti, profughi e sfollati, distruzioni, danni economici e sociali parla da sé. Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza? Egli è il Dio della pace».

E cosa possono fare le persone, e i cristiani in particolare?

Distinguere l’aggressore dall’aggredito, sicuramente. È stata un’invasione tragica, per l’Ucraina e per la convivenza degli Stati. Né negare il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Sostenere la causa della pace è sinonimo di resistenza, di non-violenza attiva, che alimenti – come un cordone ombelicale – una cultura e una politica impegnate a non rassegnarsi all’ineluttabilità della guerra, alla logica della contrapposizione, in cercadi spazi di dialogo e di negoziato.

È stato fatto tutto il possibile per fermare la guerra?

È la domanda posta da Papa, che rilancia: “Faccio appello a quanti hanno autorità sulle nazioni, perché si impegnino concretamente per la fine del conflitto, per il cessate-il-fuoco e negoziati di pace. Quella costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria!”

Oggi il movimento per la pace ha ribadito la vicinanza a tutte le vittime. Cosa suggerisce a queste donne e uomini di buona volontà?

Tra le tante immagini che, più delle parole, racchiudono il dramma e la speranza dell’intera umanità, c’è quella del cordone ombelicale della bambina nata in Siria durante il terremoto che le ha portato via i genitori. Si è salvata grazie al cordone a cui era ancora attaccata quando l’hanno estratta dalle macerie. All’altro capo, il corpo della mamma, che – anche morendo – non ha smesso di lottare per la figlia. Siamo disposti anche noi a sentirci coinvolti in maniera vitale, a dare il nostro contributo per alimentare il battito di vita e di pace che attraversa i popoli?

Oltre agli ucraini, a quali popoli si riferisce?

Penso alla domanda di vita di tanti ragazzi, vittime della brutale repressione in Iran. Uccisi a centinaia, arrestati a decine di migliaia. E le esecuzioni – omicidi di Stato – di giovani accusati di essere “nemici di Dio”. Chi calpesta la dignità umana o sopprime la vita non può mai pensare di farlo in nome di Dio. Penso al popolo del Nicaragua, dove il regime mantiene il controllo grazie alla persecuzione degli oppositori. L’ultima vittima è il Vescovo di Matagalpa, monsignor Rolando Álvarez: all’espatrio ha preferito la fedeltà al suo popolo, resterà in carcere fino al 2049.


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