sabato 25 gennaio 2025
In tutta Italia i magistrati manifestano contro la riforma della giustizia che introduce nell'ordinamento giudiziario la separazione delle carriere. A Napoli lasciano la sala quando parla Nordio
Protesta dei magistrati a Napoli

Protesta dei magistrati a Napoli - Ansa

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“In questa Costituzione (...) c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Questa (...) non è una carta morta (...) è un testamento, un testamento di centomila morti. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità (...) lì è nata la nostra Costituzione”, con cartelli in mano che riportavano questa citazione del giurista Pietro Calamandrei, membro dell’Assemblea Costituente, i magistrati dell’Anm hanno manifestato in diverse città prima delle cerimonie d’inaugurazione dell’anno giudiziario nelle corti d’Appello.

La protesta delle toghe – contro la riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere approvata in prima lettura dalla Camera – è stata portata avanti anche al cospetto del Guardasigilli, Carlo Nordio, intervenuto all’inaugurazione della Corte d’Appello di Napoli. I magistrati, che indossavano la toga e una coccarda tricolore, tra le mani tenevano i principi fondamentali della Costituzione, che all’inizio della cerimonia, durante l’inno, hanno alzato al cielo. Appena il ministro Nordio ha preso la parola, i magistrati presenti al Salone dei Busti di Castel Capuano, hanno abbandonato la stanza, come era stato deliberato dal comitato direttivo dell’Anm. Anche a Roma, dove invece era presente il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, un gruppo di magistrati ha lasciato l’aula Europa in segno di protesta durante il suo intervento. La sua replica non si è fatta attendere: «Non abbiamo nessuna intenzione di fare una riforma contro i magistrati. Vogliamo fare una riforma per i cittadini».

Tuttavia, da Sud a Nord, diversi presidenti delle corti d’Appello durante le loro relazioni hanno esposto il proprio dissenso verso la riforma, oltre che le difficoltà affrontate dalle toghe in questo ultimo anno. «È arduo sostenere che le nuove riforme siano in grado di realizzare, almeno a Roma, in tempi brevi un significativo cambio di passo nei tempi della giustizia civile e penale», ha affermato il presidente della Corte d’Appello della capitale, Giuseppe Meliadò, nel suo discorso. È certo però che «nell’anno decorso, vi è stato in ogni ufficio del distretto un grande sforzo per ridurre l’arretrato e migliorare i tempi dei processi civili e penali e che questi risultati sono tanto più importanti in quanto realizzati come se tutti gli uffici del distretto operassero a organico pieno – ha continuato – laddove, invece, tutti gli uffici, a iniziare da quelli più grandi, sono stati costretti ad operare in quest’ultimo anno con vuoti di organico, sia del personale di magistratura che di quello amministrativo, sempre più importanti e ormai insostenibili». Ha destato sgomento, ha spiegato ancora Meliadò, «la scelta del legislatore di trasferire, con procedura d’urgenza, senza alcun aumento dell’organico e senza risorse aggiuntive, alla Corte di appello di Roma le procedure di convalida dei provvedimenti di trattenimento degli stranieri adottati dal Questore, ad appena pochi mesi dall’opposta scelta di rafforzare (a Roma con ben dieci posti in più) le sezioni di primo grado competenti in materia di protezione internazionale».

Tra coloro che hanno espresso il dissenso verso le decisioni dell’esecutivo c’è anche il presidente della Corte d’Appello di Milano, Giuseppe Ondei, che ha concluso la sua relazione citando il drammaturgo Beckett: «Il nostro specifico rischio (...) è che attendendo l’arrivo delle risorse e gli esiti incisivi delle riforme, – quelle vere, però, che mirano all'efficientamento della Giustizia, non quelle di facciata o ideologiche – noi rischiamo di fare come i protagonisti dell’opera “Aspettando Godot” di Samuel Beckett dove l’ultima battuta del testo è “Andiamo!”, ma la notazione scenica aggiunge “Non si muovono”». L’anno giudiziario passato, ha spiegato ancora Ondei, «è stato testimone di notevoli e aspri dibattiti sul mondo della giustizia che talvolta sono sfociati in veri e proprio scontri istituzionali». Ha voluto poi sottolineare come il dialogo e l’ascolto siano gli strumenti che hanno consentito all’Italia di progredire, mentre ora si colgono, talvolta, spinte a considerare un valore la rottura e lo scontro. Esiste dunque per il presidente un «reale rischio che si vulnerino due principi inderogabili quali l’autonomia e l’indipendenza» delle toghe, «cardini invalicabili della tenuta democratica dello Stato», la «magistratura, pur sempre mantenendo un doveroso e corretto senso dei propri limiti, non potrà mai tacere laddove dovessero manifestarsi evidenti intenzioni di limitarne in svariati modi il raggio d’azione».

Scene di protesta e dissenso che si sono ripetute in diverse cerimonie di inaugurazione più o meno con lo stesso copione e alle quali Nordio ha risposto difendendo la riforma. «È doloroso ha detto il ministro nel suo intervento a Napoli che qualcuno possa pensare che questa riforma costituzionale sia punitiva per la magistratura. Tutte le opinioni, tutte le manifestazioni di dissenso sono benvenute. Però che si possa pensare che un ministro che a 30 anni è entrato in magistratura ed è stato per tre anni alla guida dell'inchiesta contro le Brigate Rosse, tutta la colonna veneta, e ha assistito alla morte di alcuni dei suoi colleghi, che un ex magistrato quale sono possa avere come obiettivo l'umiliazione della magistratura, lo trovo particolarmente improprio». Un lungo applauso, accompagnato da alcuni "Bravo", si è udito da parte di chi è rimasto nel salone, soprattutto avvocati, dopo le conclusioni dell'intervento del Guardasigilli.

Al di là delle proteste, le cerimonie d’inaugurazione sono state l’occasione per scattare una fotografia delle problematiche e dei lavori in corso nelle varie corti d’Appello. Il presidente della corte di Milano, Ondei, si è soffermato sui tempi biblici che gravano sulla sezione immigrazione e protezione internazionale. Quella di Milano «si è confermata la più gravata d'Italia per sopravvenienze, avendo avuto un numero di iscrizioni pari a 5.222 procedimenti rispetto ai 4.269 dell'anno precedente e ai 3.200 di due anni fa, con un incremento quindi del 22,32% rispetto all'anno giudiziario precedente e di oltre il 63% rispetto a due anni fa». «Le pendenze si sono innalzate da 9.230 a 10.300 e i tempi di trattazione competono ormai con quelli biblici ha spiegato ancora Ondei –. Ora addirittura si sono spostate alcune competenze del Tribunale alle corti d'Appello senza prevedere un aumento di organico di queste ultime e quindi adottando il principio fallimentare delle riforme a costo zero». Per quanto riguarda i reati, tra gli aspetti preoccupanti sottolineati dal presidente della Corte d'Appello di Milano ci sono l'aumento di quelli di violenza sessuale, compresa quella di gruppo, di atti persecutori e maltrattamenti. Un fenomeno invece in passato mai registratosi secondo il presidente è la mancanza di famiglie pronte ad accogliere i bambini abbandonati: «Alla crisi della scelta della genitorialità biologica si accompagna la consistente riduzione delle disponibilità alla genitorialità adottiva anche rispetto all'adozione nazionale».

I dati forniti dal Tribunale di Roma segnalano invece, in primo luogo, la crescita di ben il 55% delle sentenze di proscioglimento ex art. 425 cpp, «che non può che essere letta quale segno di un maggiore filtro ai fini del rinvio a giudizio in applicazione del più rigoroso criterio per procedere della "ragionevole previsione di condanna"», ha affermato il presidente della Corte d'Appello della capitale. Meliadò ha poi ricordato come i numeri mostrino ancora una scarsa applicazione dei riti alternativi. Anche lui ha sottolineato l'enorme impatto sugli uffici giudiziari dei processi sulla violenza familiare e nei confronti delle donne: oltre mille processi nell'ultimo anno. Non è l'unico ambito in cui «un numero irrisorio di giudici» della capitale è sovrastato da «una valanga di reati». «Il dato che spicca è quello della criminalità organizzata con la massiccia presenza di associazioni a delinquere anche di stampo mafioso sia nella città di Roma che nei territori di Velletri, Latina, Cassino e Frosinone, che rende gli uffici romani comparabili a quelli delle "capitali storiche" della associazioni criminali del Paese», evidenzia Meliadò che ha poi messo in guardia su come Roma «sta progressivamente diventando il coacervo di tutte le mafie e di tutte le forme di criminalità e, nonostante ciò, la percezione di tale emergenza stenta ad andare di pari passo con la velocità con cui si radicano e diffondono le organizzazioni e le pratiche criminali».

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