La colonna di fumo causata dall'esplosione avvenuta in un deposito di carburanti a Calenzano (Firenze) - ANSA
Quando nella mattinata di ieri è scoppiato l’inferno, l’onda d’urto ha frantumato i vetri di decine di abitazioni, i dipendenti delle fabbriche vicine sono scappati di corsa dagli stabilimenti e dai capannoni. «C’è stato un boato terribile, abbiamo pensato a una bomba o a un forte terremoto, i controsoffitti degli uffici sono crollati, i miei dipendenti gridavano per il terrore» spiega Tommaso, che ha un’azienda vicinissima al luogo del disastro. Anche le vetrate del bar di fronte al deposito Eni sono andati in frantumi. Laura, la titolare, racconta tra le lacrime di aver visto gli operai feriti che cercavano di scappare. «Sono sconvolta, qui abbiamo sempre avuto paura di quelle cisterne e di quei silos che avevano piazzato in mezzo alle case e alle fabbriche».
Quello avvenuto ieri è un disastro che era stato più volte annunciato. Appena due anni fa uno studio commissionato dal Comune di Calenzano aveva identificato due insediamenti industriali della zona qualificandoli come «a rischio di incidente rilevante» e dunque pericolosi a causa delle sostanze che vi erano conservate e lavorate. Tra questi figurava anche il deposito Eni esploso. Quello studio si basava sulle rilevazioni di Arpat, l’Agenzia Regionale per la protezione ambientale della Toscana, che aveva stilato una classifica dei rischi in base alla quantità delle sostanze pericolose presenti in ogni singolo stabilimento. Tra le principali criticità segnalate c’era proprio la vicinanza a infrastrutture chiave come la ferrovia e l'autostrada, la presenza di centri commerciali e l’elevata urbanizzazione dell’area. Il rapporto sottolineava anche che nei pressi del sito di stoccaggio Eni scorrono due corsi d’acqua, il Marina e il Garrille, quest’ultimo adiacente ai confini dello deposito di idrocarburi, «il che aumenta esponenzialmente il rischio di contaminazione delle acque in caso di incidente» concludeva lo studio.
Ma da allora non era stato fatto niente per cercare di mitigare i rischi per i lavoratori e per la popolazione. E non era stato preso in considerazione neanche l’allarme lanciato da Medicina democratica, che a seguito di un’indagine redatta nel 2020 dal ricercatore del Cnr, Maurizio Marchi, aveva sollevato preoccupazioni ambientali che oggi suonano tragicamente profetiche. Tra i rischi paventati in quello studio di quattro anni fa figurano incidenti catastrofici come esplosioni a catena e incendi, sversamenti silenziosi prolungati nel tempo a danno delle falde idriche, e dati di mortalità in eccesso per tumori e malattie dell’apparato respiratorio a causa delle emissioni tossiche.
Un’ispezione è stata poi fatta nel 2023, da parte di enti di controllo del ministero dell’Ambiente, ma non era arrivata alcuna indicazione di particolari rischi.
Dopo il disastro di ieri Medicina democratica punta però il dito anche sui sistemi di sicurezza dell’impianto. «L’entità dell’esplosione denota un mancato intervento tempestivo dei sistemi di sicurezza interni e l’impossibilità degli stessi di affrontare l’evento» spiega il presidente nazionale di Md, Marco Caldiroli. «La morte dei lavoratori porta a individuare un evento estremo incontrollato o anche un evento verificatosi durante i primi interventi dei servizi di sicurezza interni. In ogni caso dimostra purtroppo un’inadeguata protezione dei lavoratori oltre a insufficienti misure di sicurezza a loro dedicate».
Ieri il fuoco, prima era stata l’acqua. Non c’è pace per la Piana fiorentina, la vasta pianura di origine alluvionale che si estende tra le aree urbane di Firenze, Prato e Pistoia e nella quale si concentra quasi la metà delle aziende di tutta la Toscana. Un’area che negli ultimi tre decenni ha subito un’opera di cementificazione massiccia ed è stata definita una delle più inquinate d’Europa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un anno fa l’esondazione di fiumi e torrenti mise in ginocchio uno dei comuni più grandi dell’area, Campi Bisenzio, sommergendolo di fango e detriti. Ieri, ad appena un paio di chilometri dai luoghi di quell’alluvione c’è stata la terribile esplosione nel deposito Eni di Calenzano. Al suo interno erano state stoccate oltre 160mila tonnellate di combustibili fossili, tra cui benzina, gasolio e petrolio. Un sito di fondamentale importanza per la rete italiana dei carburanti che si trova al confine con i comuni di Prato e Campi Bisenzio e a due passi da Sesto Fiorentino, nelle immediate vicinanze di infrastrutture centrali per la viabilità ferroviaria e autostradale, oltre all’aeroporto fiorentino di Peretola.