mercoledì 24 giugno 2020
Tra le motivazioni indicate c'è la difficoltà di «conciliare l'occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole»
Ispettori del lavoro controllano un'azienda

Ispettori del lavoro controllano un'azienda - Archivio

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Sono state oltre 37mila le lavoratrici madri che hanno presentato le loro dimissioni nel 2019. Lo rileva l'Inl (Ispettorato nazionale del lavoro). Il loro numero - 37.611 - ha rappresentato circa il 73% del totale, percentuale equivalente a quella rilevata l'anno precedente (35.963, pari al 73%). I lavoratori padri interessati alle convalide di dimissioni sono stati 13.947 (a fronte dei 13.488 del 2018), in percentuale (27% del totale) quindi anch'essa invariata rispetto al 2018. Le cifre sono il frutto dell'attività di verifica della reale e spontanea volontà di cessare il rapporto di lavoro manifestata dalla lavoratrice o dal lavoratore al personale dell'Ispettorato. Attività finalizzata proprio a prevenire licenziamenti mascherati da dimissioni volontarie e a contrastare il cosiddetto fenomeno delle "dimissioni in bianco".

Nei casi riportati c'è quindi il "bollino" dell'Inl che ha convalidato il provvedimento in questione, sentendo i lavoratori, con figli sotto i tre anni, e informandoli sui loro diritti di lavoratrici madri o lavoratori padri. Nelle quasi totalità dei casi si tratta di dimissioni volontarie (49mila). Ciò però non sana la complicazione nel conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro. Un problema che ricade sulle donne. E infatti tra le motivazioni indicate c'è proprio la difficoltà di «conciliare l'occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole». Difficoltà registrata in quasi 21mila casi e che matura, stando all'analisi dell'Inl, quando non si hanno nonni e altri parenti a supporto o viene giudicato troppo elevato il costo di asili nido o di baby sitter o, ancora, quando ci si ritrova davanti al mancato accoglimento del figlio presso il nido. C'è da dire però che la motivazione della mancata connessione tra l'impiego e la famiglia si accompagna ad un'altra spiegazione: il passaggio ad altra azienda, indicato in un numero sempre crescente di casi (oltre 20mila nel 2019). Cosa che potrebbe eventualmente suggerire un travaso in imprese che, almeno agli occhi del lavoratore-genitore, offrono condizioni più favorevoli rispetto alla realtà da cui ci si dimette.

Oltre alle dimissioni volontarie, gli altri provvedimenti di convalida hanno riguardato dimissioni per giusta causa (1.666), che si determinano quando il lavoratore lascia in tronco, recede anticipatamente dal rapporto a fronte di un inadempimento del datore di lavoro (per esempio perché non gli è stato pagato lo stipendio). Residuale il numero delle risoluzioni consensuali (884), quando entrambe le parti, insieme, decidono di interrompere il contratto.

il Forum: dato preoccupante, serve tutela della maternità

"Le dimissioni di 37 mila neo-mamme sono un dato preoccupante. La tutela della maternità può e deve esplicitarsi in politiche di sostegno al ruolo genitoriale, in servizi di supporto e in una disciplina del lavoro che consenta una maggiore flessibilità nella gestione del tempo lavorativo". Lo afferma, in una nota, la vice-presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Emma Ciccarelli.

"L'utilizzo dello strumento dello smart-working in questi mesi, seppur in condizioni emergenziali, ci conferma che - aggiunge - le donne hanno apprezzato questa modalità lavorativa, che può essere potenziata proprio nelle fasi più critiche del ciclo della vita familiare. Le donne non rinunciano al lavoro, se non ravvisano grosse criticità di conciliazione".

Con lei, attraverso il Manifesto 'Donne per le donne' - la voce delle donne del Forum Famiglie - parla delle dimissioni di 37 mila neo-mamme nell'ultimo anno in Italia anche l'altra vice-presidente nazionale del Forum, Maria Grazia Colombo: "Il passaggio ad altre aziende, come viene evidenziato, è secondo me il dato più interessante, perché dice della 'ricerca' continua che la donna fa per trovare un posto di lavoro 'conciliante', perciò non si tratta di una scelta professionale interessante, ma semmai di una scelta che parta prima di tutto dall'esigenza familiare. Il nostro, al momento, è un Paese lavorativo che si pone contro la famiglia. Per contrastare questa drammatica tendenza - conclude - servono più aziende family-friendly".

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