Un murales "latinos" al Parco Trotter di MilanoAd alimentare la confusione, la scarsa conoscenza del fenomeno gang, sotto o sovra stimato a seconda del momento. Non tutti i gruppi latini sono bande e vere proprie. Alcuni adolescenti latinos - spesso in Italia per ricongiungersi ai genitori dopo anni di separazione - formano compagnie di affini: si ritrovano al parco, spesso bevono e fumano marijuana, difficilmente, però, vanno oltre la bravata. Altra cosa sono le gang "strutturate" (almeno in parte), come la Mara Salvatrucha (MS), la Mara Barrio 18 (M18), Latin Kings e Ñetas. Nomi che fanno paura se si pensa all’ondata di barbarie che Ms e M18 generano in El Salvador, la nazione più violenta al mondo. Le maras made in Milan - come le altre gang principali - sono, per fortuna, una pallidissima imitazione. Ne fanno parte tra i cento e i 200 ragazzi, in genere giovani adulti: i più grandi hanno tra i 30 e i 35 anni, i più piccoli 14-15. La quota dei minori varia a seconda del momento, come quella di donne. Le ragazze sono, spesso, fidanzate degli hermanos (fratelli, esponenti della banda) e partecipano, come tali, alle attività più soft: i pomeriggi al parco - quelli delle zone periferiche, tipo Trotter, Martesana, Corvetto, Porto di Mare o Bisceglie -, le domeniche in discoteca, qualche gita fuori porta. Molto meno sono le vere pandilleras: giovani che si sottopongono al pestaggio di iniziazione, si tatuano, hanno un alias - il soprannome con cui si chiamano fra loro - e combattono contro le bande rivali. Il perché non lo sanno nemmeno loro. «Sono traditori», si limitano a dire.
L’invenzione del nemico dà uno scopo al gruppo. E giustifica il fatto di girare armati di coltello o machete, nascosto nelle gambe larghissime dei pantaloni. Gli attacchi agli "altri" possono essere organizzati o casuali: sempre sono risse furibonde in cui, a volte, volano pugnalate e perfino qualche proiettile. Codici simili, nella forma esterna, alle aggregazioni della nazione d’origine, da cui prendono il nome e con cui hanno sporadici contatti. Quando nasce una nuova banda all’estero, il capo riceve una sorta di via libera dall’America Latina. Più una carta da spendere con i suoi che un autentico sodalizio criminale. «È un’appartenenza, non un vero e proprio apporto», spiega ad Avvenire il pm Enrico Pavone, che ha condotto le ultime inchieste sulle gang milanesi. Del resto, queste ultime hanno ben poco da apportare. In patria, le bande sono mafie internazionali, potenti e feroci, qui sono gruppi di sbandati, tagliati fuori dal grande business criminale. «La delinquenza organizzata, nazionale e straniera, li considera inaffidabili e, dunque, non delega loro la gestione di un traffico. I pandilleros mantengono la banda con piccoli furti e rapine – aggiunge Pavone –. Ciò non significa che non rappresentino un pericolo: anche per il forte consumo d’alcol, gli esponenti sono capaci di gesti feroci, dal colpo di machete, al pestaggio, perfino all’omicidio». Ai danni dei giovani dei gruppi rivali o degli "estranei". Lo sa bene Ismael Rafael, ex membro di Ms in Salvador: aver parlato con chi scrive e averla accompagnata nei luoghi "caldi", gli è costata una ferita di coltello - per fortuna lieve - all’uscita del Matiné.