lunedì 13 settembre 2021
Sesto Fiorentino, Palermo, Moncalieri... Buone pratiche (economiche) analizzate da Associazione 21 luglio e pubblicate da Fondazione Cei Migrantes. Il prefetto Rabuano: così si riduce la devianza
Nei 109 campi rom formali vivono 11.300 persone, il 55% sono minori

Nei 109 campi rom formali vivono 11.300 persone, il 55% sono minori - EPA/ETIENNE LAURENT

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Superare i campi rom si può. Ci sono già riuscite otto città italiane. Grandi e piccole, di centrosinistra, centrodestra, pentastellate. Lo hanno fatto integrando le persone e rispettandone la dignità. E, tra l’altro, risparmiando una montagna di soldi dei contribuenti, inghiottiti per anni nel mantenimento dei "ghetti etnici istituzionalizzati". La prova sta nelle tante buone pratiche analizzate dall’Associazione 21 luglio e pubblicate ora dalla Fondazione Cei Migrantes.

Occasione per presentare il volume «Oltre il campo - il superamento dei campi rom in Italia», analisi comparata con "linee guida" concrete e sperimentate per amministratori pubblici, è il convegno organizzato alla Camera dall’Associazione 21 luglio e dalla Fondazione Cei Migrantes, in collaborazione con la Diocesi di Roma. Dopo il videomessaggio di plauso della ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti, Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, ricorda che «i campi rom formali in Italia nascono dopo le migrazioni per il crollo della Jugoslavia: sono 109 e ospitano 11.300 persone con un’aspettativa di vita di 10 anni inferiore alla media, il 55% minori. Sono per il 49% italiani, 10% comunitari, 41% dell’ex Jugoslavia».

Le storie di successo di molti comuni smentiscono pessimisti e prevenuti. Progetti pilota a Sesto Fiorentino, Palermo, Moncalieri, Alghero, Firenze, Messina, Ferrara, Torino. A Sesto Fiorentino, giunta di centrosinistra, nel 2009 c’è stato un percorso di inserimento per i 75 rom serbi del campo Madonna del Piano, che costava ogni anno 110mila euro. Per la chiusura definitiva e l’inclusione 210mila euro. Oppure Ferrara, amministrata da una giunta leghista evidentemente più incline all’azione che agli slogan sulle ruspe, ha speso solo 12mila euro per superare l’area di via delle Bonifiche abitata da decenni da 44 sinti italiani, un campo costato in 10 anni ben 900mila euro. A Messina nel 2013, giunta di centrosinistra, ha dato abitazioni e integrazione a 100 rom dell’ex Jugoslavia del campo di Fatima. L’investimento? 145mila euro, un decimo di quanto speso fino ad allora, cioè 1,5 milioni di euro. Superare emarginazione e degrado, insomma, è anche conveniente.

Antonio Ciniero, ricercatore dell’Università del Salento, ricorda la svolta del 2012 con l’adeguamento alla direttive Ue attraverso la Strategia nazionale di inclusione, firmata dall’allora ministro per l’Integrazione Andrea Riccardi. Un testo che ha faticato a diventare prassi in amministrazioni incapaci di ascoltare e conoscere che hanno preferito la scorciatoia inutile e dispendiosa degli sgomberi «come a Roma e Pisa - afferma Ciniero - dove non sono stati attivati processi di superamento, ma di chiusura. Ma oggi si può voltare pagina».

Triantafillos Loukarellis, direttore dell’Unar, l’ufficio del governo contro le discriminazioni, sottolinea i segnali di cambiamento: «Oggi tra i rom ci sono donne e giovani che si candidano alle amministrative. Ed enti locali attenti, che pensano alle comunità e non dividono i penultimi dagli ultimi, alla ricerca di voti».

Monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma con delega a migranti e rom, esorta a «recuperare uno sguardo che salvaguardi la dignità umana riconoscendo gli altri al pari di noi, "Fratelli tutti" come dice il Papa, opponendoci alla filosofia "dell’etnìa e dell’aggettivo"». Per don Gianni De Robertis, direttore di Migrantes, lo studio sulle linee guida per superare i "ghetti etnici" «è solo l’inizio: come Fondazione abbiamo voluto pubblicare questa ricerca e promuoverla. Alla Chiesa non spetta promuovere particolari soluzioni, ma favorire percorsi di ascolto. I fallimenti di tante amministrazioni sono spesso causati dall’ignoranza».

«Urbanistica del rifiuto», definisce i campi rom il prefetto Rosanna Rabuano, direttore centrale per i Diritti civili, la cittadinanza e le minoranze: «Il loro superamento - afferma - riduce significativamente la devianza e la microcriminalità. La cura dei diritti è la precondizione per chiedere il rispetto delle regole».

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