mercoledì 15 febbraio 2023
L'analisi del sociologo fondatore del Censis
Giuseppe De Rita

Giuseppe De Rita

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«Anche fra i cattolici si è affermata l’idea che chi lascia l’impegno sociale per andare a fare politica va a fare un’altra cosa, che poco li riguarda». Giuseppe De Rita dà la sua lettura sul tema del momento, la disaffezione alle urne, un fenomeno che tocca pesantemente anche il mondo cattolico, solitamente connotato da un alto senso di civismo e partecipazione. « I cattolici - spiega il fondatore del Censis - sono capaci di grande aggregazione sul versante della coesione sociale, ma la politica è un’altra cosa, è ricerca del consenso, ha un suo linguaggio, richiede tempo e volontà di sporcarsi le mani. Chi pensa da un giorno all’altro di poter tradurre in termini di consenso le aggregazioni costruite intorno alla coesione sociale rischia di restare solo, di non ritrovarsi al fianco nemmeno i suoi amici».

Creare consenso intorno alla propria visione del mondo non è un problema che si pongono anche i cattolici?

Il merito dei cattolici è quello di costruire coesione sociale nella vita concreta, capacità di ricucire, di lottare contro povertà ed emarginazione. Ma normalmente non lo si considera parte di un progetto politico. Chi, per dire, fa il catechista a San Roberto Bellarmino magari non si pone il problema. Il problema del consenso se lo pone chi ha fatto o sceglie di fare politica, ma per la maggior parte non è un tema di particolare interesse. Sono rimasto colpito dalla folla che c’era a San Giovanni per i 55 anni di Sant’Egidio. Mi sono ricordato della folla che c’era, sempre a San Giovanni, per i funerali di monsignor Di Liegro. Ecco, Di Liegro era uno che sapeva far politica: per difendere il suo impegno per i poveri aveva la capacità di affrontare il Pci e anche la Dc e di vincere le sue battaglie.

Ma i leader politici che vanno per la maggiore si considerano interlocutori credibili dei valori e delle istanze cattoliche.

Chi si dimostra in grado di intercettare il consenso merita sempre rispetto e considerazione in democrazia. Ma questo è un tema diverso. La questione sui cui ci stavamo interrogando è il rapporto fra impegno sociale e impegno politico, e proprio questi leader che si dimostrano più in grado di ottenere consensi insegnano che fare politica è un’altra cosa, ha una sua tecnicalità, non ci si può illudere che fare aggregazione con i migranti o con le mense per i poveri possa diventare automaticamente fattore di consenso politico. Per fare politica bisogna sapersi inserire nelle rivalità, più che nella coesione, nel mercato sdrucciolevole delle opinioni.

Vince chi cavalca meglio le opinioni prevalenti?

Non è vero nemmeno questo. Pensare di fare consenso cavalcando una opinione, una rivalità, è una illusione che dura tre giorni, è un po’ l’errore che ha commesso Renzi da “rottamatore”. I partiti personali non reggono. Serve una struttura, una organizzazione, un gruppo di lavoro con delle teste pensanti in ogni settore, un radicamento nel territorio. Non a caso a questo voto hanno retto le organizzazioni politiche che, con tutti i limiti, conservano una loro presenza ed organizzazione: Fratelli d’Italia, Lega e Pd.

Per i cattolici tornare a fare politica è un dovere civico?

Non dico questo. Io ho fatto per una vita coesione sociale e non mi sognerei mai di fare politica. Proprio perché so che fare consenso è una cosa diversa. Chi vive serenamente questo suo impegno può ritenersi soddisfatto. Ma chi si fa venire la voglia di fare politica, deve sapere che i consensi si fanno in altro modo, sporcandosi le mani, confrontandosi anche con il mondo “pop”, con la Movida, con Sanremo.

Come ha visto la scelta di Mattarella di partecipare alla kermesse canora?

Istintivamente non l’avevo compresa, ma alla luce del ragionamento che facevo prima l’ho trovata alla fine coerente e anche condivisibile. Chi vuole fare politica deve misurarsi con i problemi del consenso, anche se, come cattolico, ha una storia di impegno tutta contrassegnata dalla coesione sociale. Chi fa politica deve occuparsi di tutto quel che fa opinione, sui giornali, sui social.

Che cosa consiglierebbe a chi oggi, da cattolico, voglia fare la nobile scelta di impegnarsi in politica?

Di prendersi del tempo e di non agire da solo. Serve un gruppo di lavoro e non ci si può illudere di ottenere risultati subito. Non va bene la tendenza dei vari Conte, Moratti, Calenda, a presentarsi da un giorno all’altro e dire: «Eccomi, sono qua!». Non si fa così. La Dc non è nata improvvisamente con il voto del 18 aprile 1948. Nel giugno del 1943 Adriano Ossicini incontra Giuseppe Spataro e gli dice di prepararsi, che bisognerà dar vita a un partito, e gli propone di incontrare Alcide De Gasperi. I tempi sono maturati dopo, ma quel progetto politico ha avuto successo perché c’è stata una squadra a prepararlo, che ha saputo attendere, mentre troppo spesso si vede in giro solo impazienza e ambizione personale.

Ma questo progetto dovrebbe puntare a mettersi in proprio o dovrebbe far uso degli attuali contenitori politici?

Mi incuriosisce l’idea di un nuovo contenitore promosso da cattolici. Lo auspicherei, ma confesso che ci credo poco. Chiunque vuole impegnarsi, in ogni caso, deve capire che è un processo lungo. Non si vince senza fatica e non si vince alle prossime elezioni.

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