La terapia intensiva del sant'Orsola di Bologna in una foto del novembre 2020 - Ansa
Perché un Paese che vanta più del 79% della popolazione immunizzata (contando anche i pre-infettati che hanno ricevuto una dose) – e addirittura l’87% se si considerano i soli over 12 – deve temere il collasso delle terapie intensive a causa del Covid?
Come giustificare cioè, l’ennesimo allarme lanciato ieri da Antonio Giarratano, presidente della Società italiana di Anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva che, analizzando cifre e tendenze della quarta ondata pandemica, ha delineato il rischio «intasamento delle terapie intensive in un mese»? Anche se quella odierna non è paragonabile alla situazione dello scorso anno, il severo richiamo di Giarratano al governo perché «si mettano in atto le manovre necessarie per una maggiore attenzione socio-sanitaria, senza attendere il colore "giallo"», non è esagerato. Per una serie di ragioni che proviamo a riassumere.
Avere il 79% di vaccinati significa che, sul totale dell’intera popolazione, ci sono 12,2 milioni di italiani non protetti. Tra loro anche chi, per ragioni mediche, non può vaccinarsi, e i bambini. I quali, pur se con percentuali di gran lunga inferiori a quelle degli adulti, possono ammalarsi, oltre che costituire essi stessi veicolo di contagio. Sempre tra questi 12,2 milioni di non vaccinati ce ne sono molti liberi di andare ovunque perché "autorizzati" da un tampone. Valido per il Green pass ma che non è uno strumento di protezione visto che si limita a fotografare solo la mancanza di contagio in un determinato momento. E il cui utilizzo è giusto cambiare in senso più restrittivo.
Seconda ragione: i vaccini, dopo circa sei mesi, mostrano una ridotta capacità di protezione, soprattutto tra i più fragili, anche a causa del fatto che, quando sono stati programmati, non circolavano ancora varianti come la Delta, capaci di mitigarne l’efficacia. Inoltre, come spiegato dal noto farmacologo Silvio Garattini su Avvenire, sabato scorso, in circa il 10% dei vaccinati la risposta immunitaria non è soddisfacente.
Terza ragione: nelle terapie intensive non ci va solo il paziente critico colpito dal Covid-19. Le preoccupazioni di Giarratano riguardano pure gli imminenti ricoveri causati dall’influenza stagionale, che ogni anno in Italia provoca circa 8.000 morti. Senza contare «i pazienti cronici riacutizzati, gli oncologici, i cardiopatici, i politraumatizzati e tutti quelli con sindromi acute che compromettono le funzioni vitali». E ai quali sarebbe quantomeno problematico spiegare che il loro posto è stato occupato da un paziente Covid che ha deciso di rifiutare il vaccino.