venerdì 21 maggio 2021
A un anno dal naufragio, prime conferme in Tribunale. Allestita una “flotta fantasma” per nascondere le riconsegne illecite dei migranti alla Libia. Parlano gli armatori coinvolti. Rispunta Gafà
In basso a destra. il maltese Gafà

In basso a destra. il maltese Gafà - .

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Ci sono voluti tredici mesi per arrivare alle prime ammissioni sulla “strage di Pasquetta” del 2020, quando nell’area di ricerca e soccorso maltese furono lasciate morire 12 persone e 53 superstiti furono consegnati agli aguzzini libici. Davanti al Tribunale di Malta l’armatore Carmelo Grech, proprietario di alcuni motopesca, ha ammesso di essere stato ingaggiato e pagato almeno quattro volte dal governo maltese per riportare illegalmente i migranti in Libia senza lasciare tracce.

A coordinare le operazioni era Neville Gafà, già capo dello staff del primo ministro laburista Joseph Muscat e assoldato anche dal premier Abela per tenere i rapporti con i guardacoste tripolini. Il giudice Wenzu Mintoff sta conducendo le audizioni nel processo civile (quello penale era stato rapidamente archiviato pochi giorni dopo i fatti) contro il primo ministro Robert Abela, il ministro della sicurezza nazionale e delle forze dell'ordine Byron Camilleri e il generale delle Forze armate Jeffrey Curmi. Le acquisizioni stanno ribaltando proprio il primo verdetto di proscioglimento.

Gli avvocati Paul Borg Olivier ed Eve Borg Costanzi a nome dei 52 richiedenti asilo respinti e rintracciati in Libia hanno fornito una ricostruzione che il giudice ha ritenuto meritevole di approfondimenti. Così è stato convocato Carmelo Brech, con interessi tra Malta e i porti libici, in passato condannato per contrabbando e traffico di valuta, a cui appartiene il motopesca “Mae Yemanja”, registrato anche con il nome di “Dar es Salam 1”.

Grech ha confermato l’intera ricostruzione di Avvenire, che un anno fa il giudice penale Mifsud (indicato al ruolo su nomina del premier, come prevedeva la legge maltese) aveva invece respinto.

Grech ha dichiarato che la sera del 9 aprile la sua barca si trovava nel “Grand Harbour” di Malta e che tempo prima era stato avvicinato da un ufficiale delle Forze armate. Doveva intercettare i naufraghi e portarli a Tripoli. Il motopesca spense i radar, ma la mattina dopo quando giunse nel porto di Tripoli venne fotografato da alcune fonti di Avvenire sul posto, consentendo di avviare l’inchiesta giornalistica di Avvenire, del New York Times e del britannico The Guardian.

"C'era mare grosso e le persone soccorse si sono ammutinate, ma sono arrivati i libici a sedare la rivolta", ha aggiunto Grech. Con quali metodi non è difficile immaginarlo. Anche Dominic Tanti, armatore del peschereccio “Salve Regina”, ha detto alla corte di avere consegnato almeno in due occasioni 30 tonnellate di generi alimentari in Libia, destinati ai campi di prigionia nei quali venivano ricondotti i migranti intercettati dalla flotta fantasma maltese.

Era una delle condizioni dell’accordo segreto siglato tre anni prima dal governo Muscat con Tripoli, grazie alla mediazione di Neville Gafà. La Libia si sarebbe ripresa indietro i migranti a patto che a pagarne le spese per la prigionia sarebbe stata La Valletta. Nessun riferimento, però, al rispetto dei diritti umani.

Lo stesso Gafà è stato chiamato a testimoniare. E davanti alle accuse ha risposto spiegando che il suo ruolo nell'operazione tra il 9 e il 10 aprile è stato quello di tenere i contatti tra i due Paesi. Ha ammesso di avere preso istruzioni dall’ufficio dell’attuale primo ministro, Robert Abela. “Ma il mio intervento è avvenuto solo quando i migranti erano non più nelle acque maltesi, ma in quelle libiche”. Una precisazione, questa, con cui spera di sottrarsi alla giurisdizione di Malta. Come se ordinare di commettere un reato all’estero possa mettere al riparo dalla giurisdizione nel proprio Paese.

“Il respingimento è stato dunque un atto dello Stato maltese, non di un pirata privato. E la giurisprudenza - ha osservato il giornalista Manuel Delia, che ha preso in mano l’eredità delle inchieste di Daphne Caruana Galizia - in situazioni analoghe ha mostrato che quando lo Stato ingaggia navi private per agire per suo conto, l'azione deve essere considerata un atto di Stato”.

La “flotta fantasma”, dunque, non era un’invenzione dei giornalisti. A lungo Alarm Phone con Mediterranea e Sea Watch avevano chiesto un intervento. Appelli caduti nel vuoto per cinque giorni, tra scaricabarile e omissioni. Eppure le forze navali europee sapevano tutto fin dal primo momento. Rispondendo ad Avvenire, l’agenzia europea per la protezione dei confini scriveva: “Nel corso dei voli di pattuglia durante il fine settimana (dunque tra il 9 e l’11 aprile, ndr), gli aerei di Frontex hanno individuato diverse imbarcazioni in pericolo. In linea con le convenzioni internazionali, abbiamo avvisato tutti i competenti centri nazionali di coordinamento per il salvataggio marittimo (Mrcc) nell'area”.

Durante quei respingimenti Gafà non aveva più incarichi ufficiali. Nonostante questo fu contattato dal governo. “Volevo garantire che sia gli immigrati che i rifornimenti arrivassero a Tripoli", ha detto, spiegando di avere offerto i suoi servizi “gratuitamente”.

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