venerdì 16 giugno 2017
Le fiamme gialle scoprono un giro di estorsione e usura nella capitale. Gli inquirenti: «Metodo mafioso, legami con camorra e 'ndrangheta». Sequestrati beni per più di 16 milioni.
Blitz della Gdf a Roma, 17 arresti
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Estorsione e usura aggravate dal «metodo mafioso», abusivismo finanziario, legami con camorra e 'ndrangheta: è il quadro inquietante emerso dalle indagini condotte dalla Guardia di Finanza di Roma, culminate nei 17 arresti eseguiti questa mattina all'alba dalle fiamme gialle. I militari del Nucleo di Polizia Tributaria stanno procedendo anche al sequestro di beni per oltre 16,5 milioni di euro.

Gli arrestati (13 in carcere e 4 ai domiciliari) sono accusati, a seconda delle posizioni, dei reati di associazione a delinquere, usura, estorsione, reimpiego di capitali illeciti, trasferimento fraudolento di valori e accesso abusivo a sistemi informatici. Tra gli appartenenti al gruppo criminale ci sarebbero anche due finanzieri, accusati di aver eseguito accessi illeciti su banche dati per ottenere notizie riservate. Coinvolto anche un impreneditore, Alessandro Presutti, titolare di un rivenditore di auto sulla Tiburtina. Per chi indaga è lui il capo del sistema criminale assieme a due pregiudicati.

Le indagini hanno avuto inizio nel 2013, a seguito della denuncia di una delle vittime. E' emerso fin da subito il presunto illecito rapporto tra Presutti e i due pluripregiudicati di origine campana, Francesco Sirica detto "Franco 'o pazz" e Luigi Buonocore.

Decine le vittime degli usurai, costrette a corrispondere tassi di interesse mensili fino al 20%, subendo gravi minacce, intimidazioni e ritorsioni (le indagini hanno documentato, tra l'altro, anche un caso di accoltellamento). Per gli inquirenti, il sodalizio criminale aveva la capacità di reclutare noti pregiudicati, tra i quali Giuseppe Cordaro, già detenuto dal luglio 2016 e oggi nuovamente destinatario di ordinanza di custodia cautelare in carcere. Nel corso delle investigazioni è emersa anche la possibile connessione con Michele Senese, la cui fama criminale veniva spesso evocata per gestire le dinamiche relazionali con altre organizzazioni malavitose o per intimorire le vittime di usura o, ancora, per garantire la raccolta periodica di "oboli" necessari al sostentamento dei membri del gruppo campano.

Dall'altro caso è stata identificata una presunta "area grigia", costituta da soggetti appartenenti alla società civile - tra cui l'avvocato Marco Marasca del Foro di Roma e il consulente del lavoro Stefano Pagani - che ponevano a disposizione dell'organizzazione il proprio know how professionale e contribuivano alla soluzione di ogni problema tecnico e/o giuridico. Per mascherare i proventi dell'usura, è l'opinione dei finanzieri, il gruppo aveva creato tre società con sede a Roma, operanti nel settore del commercio di autovetture e nella compravendita immobiliare, nonchè un'ulteriore società svizzera, da considerarsi la "cassaforte" del gruppo, alla quale attribuivano la titolarità di immobili ubicati a Roma, già offerti in garanzia per i prestiti a tassi usurari e successivamente acquisiti.

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