giovedì 8 giugno 2023
Bandito in Italia nel 1992, questo materiale cancerogeno è stato ampiamente utilizzato e causa patologie letali, tra cui un tumore a lentissima progressione. Si stimano oltre 4.400 morti l'anno
I tetti dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato (Alessandria)

I tetti dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato (Alessandria) - Archivio

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Chiude solo parzialmente una vicenda pluridecennale la condanna a 12 anni per omicidio colposo all’industriale svizzero Stephan Ernest Schmidheiny – comminata ieri dalla Corte d’Assise di Novara – per la morte di 392 persone vittime dell’esposizione all’amianto a Casale Monferrato (Alessandria) tra il 1976 e il 1986, anno di chiusura della fabbrica Eternit, di cui era proprietario, dove si lavoravano prodotti a base di amianto.

Non solo perché la sentenza dovrà passare al vaglio degli altri gradi di giudizio, ma perché l’emergenza rappresentata dalla presenza nell’ambiente dell’amianto – riconosciuto all’origine del micidiale mesotelioma pleurico e di altre patologie letali (asbestosi e carcinoma ovarico) – è tutt’altro che conclusa.

In Italia, dal 1992, il suo utilizzo è vietato, ma nel mondo la produzione di amianto non si è fermata (solo 67 Paesi lo hanno messo al bando), e le bonifiche, oltre a essere un lavoro lungo e costoso, da realizzare con protocolli rigorosi, sono a macchia di leopardo.

E infine perché, anche a causa della lentissima evoluzione del mesotelioma (anche oltre 30 anni), la mortalità per le conseguenze all’esposizione all’amianto continua a mantenersi rilevante: 4.410 morti all’anno sono state stimate nel nostro Paese tra il 2010 e il 2016, e con una tendenza per nulla in diminuzione. Inutile dire, quindi, che i morti per patologie correlate all'amianto non si limitano a 392 per i quali si è celebrato il processo di Novara.

La sentenza di ieri ha derubricato l’imputazione di omicidio volontario con dolo eventuale, per il quale la pubblica accusa aveva chiesto la pena dell’ergastolo, in quella per omicidio colposo. Si tratta di un secondo processo, dopo che il primo era stato “cancellato” dalla Corte di Cassazione dichiarando nel 2014 che il reato di disastro doloso ambientale, per il quale l’industriale svizzero era stato condannato, doveva essere considerato prescritto. Questo processo, spacchettato nel 2016 in quattro tronconi, aveva preso il via quasi due anni fa, il 9 giugno 2021.

Familiari e territorio soddisfatti a metà

Ecco perché oggi l’Associazione dei familiari e vittime dell’amianto (Afeva) si sente parzialmente soddisfatta: «Finalmente la parola colpevole è stata detta, quindi la verità è venuta fuori – commenta la presidente Giuliana Busto – e ci diciamo soddisfatti almeno per questa sera (mercoledì, ndr) per tutto quello che abbiamo sofferto che è stato veramente tanto».

«Oggi è un giorno agrodolce – aggiunge Bruno Pesce, storico coordinatore di Afeva – perché purtroppo, essendo stato il reato di omicidio derubricato da doloso a colposo, per molte delle vittime è scattata la prescrizione. Ora speriamo che questa condanna sia confermata in Cassazione».

Aggiunge il sindaco di Casale Monferrato, Federico Riboldi: «La città guarda avanti e proseguirà il percorso già ben avviato delle bonifiche e per la costituzione del primo Irccs pubblico piemontese che si occuperà anche di patologia ambientali, per garantire un futuro di ricerca e cura e rendere Casale Monferrato la prima città Zero Amianto del mondo». Alla condanna penale, infatti, si somma il risarcimento di 50 milioni di euro al Comune di Casale, di 30 milioni allo Stato italiano e altri milioni (complessivamente) ai familiari delle vittime.

«La sentenza restituisce al territorio casalese, e all'Italia tutta, un rinnovato senso di giustizia – commenta una nota di Legambiente, nazionale, piemontese e cittadina – dal quale ripartire con maggior serenità per completare il percorso di bonifica e cura di un territorio che ancora sta facendo i conti con gli effetti nefasti dell’inquinamento da amianto e dove ogni anno ancora si ammalano oltre 50 persone».

Ma oltre ai compensi monetari, “pesa” per la giustizia il riconoscimento della responsabilità di aver saputo il rischio che l’esposizione all’amianto faceva correre, e la decisione di non tenerne conto. Come hanno sottolineato i pm Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare: «L’amianto uccide e Stephan Schmidheiny lo sapeva». Di qui la richiesta di ergastolo.

Viceversa i difensori dell’industriale svizzero, Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, avevano l’assoluzione: in prima battuta «perché il fatto non sussiste» per mancanza di prova sul nesso di causalità (cioè il nesso tra la condotta dell’industriale e le morti di mesotelioma), in subordine «perché il fatto non costituisce reato».

Un materiale utile, ma cancerogeno

La conoscenza dei danni dell’amianto, materiale che nel corso del Novecento per la sua economicità e versatilità è stato ampiamente utilizzato in edilizia (ma anche nei cantieri navali, nelle centrali elettriche, nell’industria ferroviaria, in quella automobilistica e persino nei tessuti), è in realtà emersa sin dagli anni Trenta del secolo scorso.

Lo ricostruisce il giornalista medico-scientifico Ernesto Bodini, divulgatore di storia della medicina: «Il primo caso riconosciuto di cancro associato all’asbestosi è stato stabilito dal dottor Lynch nel 1935 e nel 1939 la Cassa nazionale delle assicurazioni, negli Stati Uniti, ha ammesso per la prima volta un caso di asbestosi come malattia professionale». In Italia, dopo la legge 257/92, è vietata l’estrazione e l’utilizzo dell’amianto, e si lavora a una mappatura nazionale dei territori da bonificare.

Oltre a Casale, altri siti contaminati sono Broni (Pavia) dove fino al 1994 funzionò la fabbrica Fibronit, i cantieri navali di Monfalcone (Gorizia), ancora lo stabilimento Eternit di Bagnoli (Napoli). Ma il compito è reso difficile dall’ampia distribuzione sui territori dei materiali con amianto.

Mortalità ancora alta

Lo scorso anno, la ricercatrice Lucia Fazzo (Dipartimento Ambiente e salute, Istituto superiore di sanità) ha fornito dati aggiornati sulla stima della mortalità per malattie amianto-correlate in Italia: «È un cancerogeno certo e causa il mesotelioma e i tumori polmonare, ovarico e della laringe. Oltre a malattie neoplastiche, l’amianto causa: asbestosi, placche e ispessimenti pleurici».

Concludendo che «nel periodo 2010-2016 nel nostro Paese, in media sono stati stimati 4.410 decessi all’anno attribuibili a esposizione ad amianto (3.860 maschi, 550 femmine): 1.515 per mesotelioma maligno, 58 per asbestosi, 2.830 per tumore polmonare, 16 per tumore ovarico».

Purtroppo, le stime sull’evoluzione della mortalità continuano a essere alte. Un modello predittivo di Enrico Oddone (Irccs Maugeri, Pavia) e collaboratori prediceva un picco dei casi tra il 2012 e il 2024. Tuttavia l’andamento della mortalità da mesotalioma in Italia tra il 2010 e il 2016 si sono mantenuti stabili poco sotto i 4 casi ogni 100mila abitanti.

Le speranze della ricerca scientifica

Peraltro, la ricerca scientifica non si ferma. È stata presentata pochi giorni fa al congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco) la notizia che uno studio di fase 3 – pubblicato sul New England Journal of Medicine – ha mostrato che una nuova molecola immunoterapica in combinazione con la chemioterapia determina un miglioramento della sopravvivenza dei pazienti e della sopravvivenza libera da progressione di malattia in pazienti con mesotelioma pleurico.

Lo studio internazionale è stato condotto da tre gruppi: canadese, francese e italiano, dell’Istituto nazionale dei tumori Irccs “Fondazione Pascale” di Napoli, da cui proveniva circa la metà dei pazienti complessivi.

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