giovedì 18 febbraio 2021
Il Gip rimette gli atti alla procura, chiedendo che indaghi sull'ipotesi di manipolazione delle provette di urina dell'atleta. I reati ipotizzati: falso ideologico, frode processuale e diffamazione
Alex Schwarzer terzo nella 50 km di marcia ai campionati mondiali di atletica di Helsinki nel 2005

Alex Schwarzer terzo nella 50 km di marcia ai campionati mondiali di atletica di Helsinki nel 2005 - Ansa

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Il marciatore Alex Schwazer, che era indagato per un secondo episodio di doping dopo quello del 2012, è stato completamente scagionato, «per non aver commesso il fatto» da parte del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bolzano, Walter Pelino.

Il giudice ha infatti depositato l'ordinanza che dispone l'archiviazione per il marciatore. Nel motivare la decisione, il giudice rimette gli atti alla procura, chiedendo che si indaghi sull'ipotesi di manipolazione delle provette di urina prelevate all'atleta il 1 gennaio 2016 e risultate positive al test antidoping. I reati ipotizzati dal giudice sono falso ideologico, frode processuale e diffamazione.

Nell'ordinanza il giudice afferma che l'accusa non avrebbe «adeguatamente valutato rilevantissimi elementi di prova. I dubbi che hanno fermato il pubblico ministero a metà del guado sono frutto della produzione di atti falsi con cui i consulenti nominati da Wada hanno tentato di inficiare i dati emersi dalla perizia».

Sul fatto che la concentrazione di Dna riscontrata nel campione oggetto di perizia costituisca una anomalia «non può esservi discussione di sorta: è comprensibile che Wada e Iaaf (parti offese nell'indagine, ndr.) nel tentativo di 'salvare la faccià neghino anche l'evidenza scientifica», scrive Pelino.

Il gip, quindi, conclude di ritenere «accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni d'urina prelevati ad Alex Schwazer l'1 gennaio 2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica ed il discredito dell'atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati».

Pelino ritiene che sussistano «forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l'accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati: falso ideologico in relazione alla dichiarazione di disporre di soli 6 ml di urina nell'originario campione, essendosi acclarato che ve ne erano circa il triplo; frode processuale, in relazione alle pressioni esercitate sul laboratorio di Colonia; diffamazione, in relazione ad una consulenza della Wada laddove, al fine di contestare che la concentrazione del Dna riscontrata nell'urina fosse da reputarsi anomala, sono stati posti in essere artifizi finalizzati a far credere al pubblico ministero ed al giudice che il perito avesse sbagliato».

A pagina 76 dell'ordinanza di archiviazione, Pelino scrive accuse pesanti nei confronti di Wada e World Athletics: "nell'odierno sistema Wada e Iaaf (oggi World Athletics) operano in maniera totalmente autoreferenziale ed il presente procedimento ha eloquentemente dimostrato come esse non tollerino affatto controlli dall'esterno ed anzi siano pronte a tutto per impedirlo, al punto di produrre dichiarazioni false e porre in essere frodi processuali".

Le reazioni

"Finalmente c'è scritto nero su bianco che io sono innocente". È il primo commento di Alex Schwazer: "Sono molto felice che dopo quattro anni è mezzo di attesa finalmente è arrivato il giorno in cui è stata fatta giustizia". "Probabilmente non potrò dimenticare tutte le cose - aggiunge Schwazer - , ma il giorno di oggi mi ripaga un pò di tante battaglie che insieme ad altri che mi sono stati vicini ho dovuto affrontare in questi quattro anni e mezzo, che non sono stati per nulla facili"

Sandro Donati, maestro dello sport, storico paladino della lotta al doping, allenatore di Schwazer dall'aprile del 2015, ha detto, "abbiamo vinto questa grande battaglia per la verità, adesso ci sarebbe la battaglia sportiva per sanare il misfatto" aggiungendo ponendo una domanda agli organismi sportivi, "ora tutto lo sport italiano deve fare le sue valutazioni, ma anche a livello internazionale devono rendersi conto, che quanto accaduto come potrà essere evitato in futuro?".

"Ora è provato: Alex Schwazer è stato incastrato per impedirgli di partecipare all'ultima Olimpiade di Rio. È Il tribunale di Bolzano a stabilirlo dopo una battaglia legale cominciata nel 2016. Aveva ragione Alex, e il suo allenatore Sandro Donati, a proclamare la propria innocenza e a denunciare esplicitamente la manipolazione delle sue provette. Libera gli è stata accantoda quando è ripartito per una nuova ed esemplare vita sportiva. E adesso con lui chiede che venga annullata immediatamente la squalifica di 8 anni. Il CIO deve consentirgli di partecipare, se lui lo vorrà, ai giochi Olimpici di Tokyo 2021. Forza Alex, Libera continuerà a marciare al tuo fianco, anche in questa nuova sfida nel nome dello sport pulito e della giustizia giusta". A dirlo è Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera.

La storia

Quella di Alex Schwazer è stata una vicenda al limite dello spionaggio. Di sicuro da film. Ritardi nelle comunicazioni, la prima quella della positività avvenuta solo dopo sei mesi dal controllo, imbrogli, sotterfugi, minacce e, come si evince oggi dall'ordinanza di assoluzione sotto l'aspetto penale scritta dal giudice del Tribunale di Bolzano, anche di complotti e urine modificate. L'intricato caso, una sorta di spy story, è radicato nel tempo.

Le sue radici partono da lontano, dal 6 settembre del 1987. È il giorno che Sandro Donati denunciò ai carabinieri il salto truccato di Giovanni Evangelisti la sera prima in occasione della gara dei Mondiali di Roma. La misura del salto dell'azzurro, secondo Donati, era stata modificata. Il giallo del secondo presunto caso doping di Schwazer - quello del 2012 lo confessò con tanto di lacrime e una squalifica di 4 anni anzichè i consueti 2 - è frutto di antichi conti in sospeso tra persone, tra enti e soprattutto ripicche personali.

Alex in questa vicenda non si è mai accontento della "pacca sulle spalle" o del "dai, sappiamo che
sei pulito ma lascia perdere". Ha sempre lottato per la verità, ha sempre voluto sapere cosa è davvero accaduto nei giorni seguenti quel maledetto controllo dell'1 gennaio del 2016 nella sua abitazione a Calice di Racines.

Il "caso Schwazer 2" ha una data di inizio certa: il 16 dicembre del 2015. Quel giorno accaddero due cose. Alex accusò in aula l'allora medico della federazione italiana Giuseppe Fischetto - il primo già inglobato nel settore medico di World Athletics - di aver omesso di denunciare i valori anomali degli atleti russi e qualche ora dopo dalla federazione mondiale di atletica leggera partì l'ordine - di prassi gli ordini di controllo non partono due settimane prima - di testare l'azzurro il giorno di Capodanno.

Lo stesso Fischetto in un'intercettazione telefonica del giugno del 2016 apostrofò "sto crucco deve morì ammazzato". Sul documento del controllo era stato riportato 'Racines', il luogo del controllo che, invece, doveva restare anonimo. Successivamente le provette partirono per Stoccarda e 'riposaronò presso la ditta Gqs della quale almeno sei persone erano in possesso della chiave d'ingresso. Ai vertici della società anche un ex collega di Fischetto.

Le urine di Schwazer rimasero incustodite per mezzo pomeriggio, una sera e una notte senza nemmeno la videosorveglianza. Il 2 gennaio le urine vennero portate al laboratorio di Colonia. Verso fine mese la certificazione del controllo: "negativo".

Poi un lungo silenzio. Ad aprile le urine del marciatore italiano vennero ritestate e all'interno, improvvisamente, vennero trovati due metaboliti di testosterone. Da Colonia, dove fisicamente erano custodite, nessuna notizia, da Montreal in Canada, sede dell'agenzia mondiale antidoping, nessuna comunicazione.

A maggio Schwazer vinse la 50 km dei Mondiali a squadre alle Terme di Caracalla arrivando poi secondo in una 20 km in Spagna. Nel frattempo Alex proseguiva a prepararsi per le Olimpiadi di Rio fino al 21 giugno quando, la sera prima della cerimonia della consegna del tricolore all'alfiere di Rio 2016 Federica Pellegrini dalle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, arrivò la notizia: "le urine sono positive al doping, Schwazer è nuovamente positivo". Una doccia gelata.

Il 17 gennaio seguente, siamo nel 2017, si aprì il processo penale a Bolzano. La prima richiesta sia del pm che del gip e avere in Italia le urine. Il laboratorio di Colonia rifiuta sin da subito l'invio. Solo il 7 febbraio del 2018, oltre un anno dopo, il colonnello dei Ris Lago, accompagnato in Germania dall'avvocato del marciatore Gerhard Brandstaetter (minacciato dai vertici dell'ex Iaaf nell'estate 2016), riesce ad ottenere le provette.

Inizialmente il direttore del laboratorio Hans Geyer, aveva tentato di consegnarli non l'urina B sigillata ma un'anonima urina contenuta in una fialetta di plastica. Dopo una discussione, Lago si fece consegnare l'urina della provetta B per iniziare la lunga ed articolata attività di indagine che hanno portato l'alto ufficiale della Benemerita (nominato dal gip di Bolzano) a redigere ben tre perizie dove il concetto
manipolazione è stato ben presto preso in considerazione
.

Nel maggio 2020, la Corte federale svizzera, alla quale Schwazer e i suoi legali erano ricorsi, non accolse la richiesta di annullamento della squalifica. Nel dicembre scorso la Procura richiede l'assoluzione di Schwazer a livello penale, oggi l'accoglimento da parte del Gip ma fino all'agosto del 2024, almeno in questo momento, resta la squalifica sportiva.

A questo punto si dovranno valutare i possibili ricorsi in sede sportiva.

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