Morire per la guerra: nel 2024 il record delle vittime civili

Da uno studio emerge che nel 2024 i decessi di civili causati da armi esplosive sono aumentati ancora rispetto al 2023, che aveva già registrato un numero di vittime senza precedenti
June 10, 2025
Morire per la guerra: nel 2024 il record delle vittime civili
Ansa | Attacco alla centrale idroelettrica di Dnipro, 22 marzo 2024
Morire in guerra e morire per la guerra sono due facce della stessa medaglia. Nel primo caso si contano i militari caduti sul campo di battaglia, chi aveva messo in conto di correre questo rischio. Del secondo, invece, fanno parte i civili, i disarmati, i “danni collaterali” impossibilitati a proteggersi da raffiche di proiettili e piogge di missili. Sono soprattutto loro a pagare il caro prezzo delle guerre ed emerge chiaramente dal nuovo report “Explosive Weapons Monitor di “International Network on Explosive Weapons” (Inew), una rete internazionale di ong impegnata nel combattere l’uso di armi esplosive in aree popolate, di cui fa parte anche l’italiana “Rete Pace Disarmo”.
Dopo il 2023, in cui il numero di morti e feriti civili dovuto all’uso di armi esplosive aveva raggiunto livelli mai toccati prima, anche il 2024 è stato un bagno di sangue per chi vive nelle zone di guerra. I civili hanno continuato a cadere inermi sotto gli attacchi di armi esplosive che hanno causato migliaia di morti e feriti registrando un aumento di vittime di oltre la metà rispetto all’anno precedente. Circa il 43% di tutte le vittime civili segnalate nel 2024 si è verificato nei territori palestinesi occupati, mentre gli altri scenari di guerra che rientrano in questa infelice classificazione e che hanno registrato forti incrementi sono Libano, Myanmar, Siria e Ucraina.
Dal report emerge un’altra terribile verità: nel 2024 l’uso di armi esplosive negli attacchi a strutture sanitarie è aumentato del 64% rispetto al 2023, distruggendo ospedali e ambulanze e uccidendo operatori sanitari. Un accanimento su popoli stremati da guerre e devastazioni. L’aumento vertiginoso degli attacchi riguarda anche quelli mirati a strutture educative e ad aiuti umanitari. Quello che il report di Inew restituisce è uno scenario tragico, in cui vengono colpite le fondamenta della civiltà e si rovinano le vite di migliaia di persone con la consapevolezza che a farne le spese saranno i civili.
L’effetto immediato dei bombardamenti causa morti e feriti, ma la coda lunga degli attacchi si riverbera anche nel lungo periodo, aumentando le sofferenze dei sopravvissuti anche quando finiscono i conflitti. Le armi esplosive uccidono le persone e distruggono scuole, ospedali, reti idriche ed elettriche e impediscono ai superstiti di accedere a servizi essenziali. Per loro non basta scampare ai raid per avere una prospettiva di vita futura perché, dopo il conflitto, ammesso che finisca, devono sopravvivere in luoghi devastati. Ma come si fa se, come è successo in Ucraina, il sistema sanitario è stato devastato da tre anni di conflitto e i pazienti faticano ad accedere alle cure? O se, come in Myanmar, i continui attacchi a scuole, università e altri edifici educativi hanno causato interruzioni dell’apprendimento con conseguenze sulle prospettive di lavoro, sui mezzi di sussistenza e sulla salute mentale?
Secondo quanto emerge dall’analisi di Inew, sarebbe fondamentale che gli Stati riducessero i danni ai civili e alle infrastrutture, impegnandosi a sottoscrivere e attuare la “Dichiarazione politica” del 2022 sul rafforzamento della protezione dei civili dalle conseguenze umanitarie dell’uso di armi esplosive nelle aree popolate, finora approvato soltanto da 87 Paesi.

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