«L'inchiesta di Milano dimostra che la politica ha finito per abdicare»
di Diego Motta
Vannucci, Università di Pisa: le scelte strategiche in tema di urbanistica sono in mano ai privati, per questo il baricentro del potere si è spostato. Giusta la trasparenza, i magistrati siano sob

Dal pubblico al privato, dai partiti alle imprese. «Il baricentro di potere nelle ultime grandi inchieste per corruzione si è spostato» premette Alberto Vannucci, professore di Scienza politica all’Università di Pisa. Basta guardare in maniera retrospettiva gli ultimi scandali giudiziari, dal Mose a Mafia capitale fino all’Expo, passando più recentemente per Genova e la Liguria. «Il sistema di Mani Pulite aveva al centro un attore pubblico e politico, rappresentato dai partiti, dai segretari, dai tesorieri. Dagli anni Novanta in poi, chi regola, governa e indirizza le scelte è ormai di norma un soggetto portatore di potenti interessi privati». Secondo Vannucci, che dirige un Master in collaborazione con Libera in Antimafia e Anticorruzione, «a prescindere dalla rilevanza penale delle condotte che andrà dimostrata, emerge chiaramente dalla maxi-inchiesta di Milano una tessitura di relazioni, una specie di triangolo dominante in cui ai tre angoli ci sono tre soggetti differenti».
Quali sono e che responsabilità hanno?
Il primo soggetto è il privato che realizza e determina l’orientamento pubblico di un progetto, in assenza di un soggetto politico in grado di indicare le priorità. Il secondo soggetto è la componente tecnico-amministrativa, fondamentale nell’elaborare un sistema a prima vista apparentemente regolare di relazioni. Che arriva a fatturare regolarmente le consulenze fatte, per intenderci. Infine, terzo soggetto è la politica, che appare in un ruolo secondario, evanescente, quando non ancillare nei confronti degli altri due livelli.
Va detto che anche la prova di reato, la tangente, oggi sembra più difficile da individuare.
È vero: nel caso di Milano, sembra esserci un utilizzo di tecniche più sofisticate di retribuzione delle prestazioni offerte. Però le mazzette non sono scomparse, il denaro contante resiste come forma di corruzione. Per i magistrati è in ogni caso più difficile individuare le modalità con cui si compiono eventuali reati, perché è complicato ricondurre tutto al codice penale, dove deve esserci relazione riconoscibile nel do ut des: ti do qualcosa in cambio di qualcos’altro. Invece oggi le controprestazioni sono spesso differite nel tempo e garantite da altri.
La Procura non rischia di costruire però un castello di carte enorme, in cui aggettivi, immagini e iperboli sul «vorticoso circuito di corruzione ancora in corso» finiscono in realtà per evidenziare più giudizi politici che analisi fattuali?
I fatti parlano da soli, ma convengo sulla necessità di una maggior sobrietà nel descrivere quanto è accaduto. A volte anche i magistrati si fanno prendere la mano ed eccedono in enfasi retorica. In ogni caso, sapere quel che succede, anche dagli stralci delle intercettazioni pubblicate, resta a mio avviso un elemento di trasparenza e di tutela per i cittadini.
Quale rischia di essere per i territori e per le comunità l’esito di inchieste di questo tipo?
Un esito c’è già: la politica ha finito per abdicare al proprio ruolo. Le scelte sono eterodirette, le speculazioni immobiliari paiono finalizzate a garantire l’esclusivo profitto agli azionisti, non l’interesse della comunità o anche solo il decoro urbano. Anche appellarsi alla legittimità formale degli atti può rivelarsi un boomerang: pensi a cosa sarebbe successo se avessero approvato il cosiddetto “salva Milano”, che doveva garantire atti di dubbia legittimità, come stanno dimostrando le indagini degli ultimi mesi... Avremmo rischiato uno scenario di corruzione a norma di legge e non sarebbe stata neppure la prima volta.
Quali sono e che responsabilità hanno?
Il primo soggetto è il privato che realizza e determina l’orientamento pubblico di un progetto, in assenza di un soggetto politico in grado di indicare le priorità. Il secondo soggetto è la componente tecnico-amministrativa, fondamentale nell’elaborare un sistema a prima vista apparentemente regolare di relazioni. Che arriva a fatturare regolarmente le consulenze fatte, per intenderci. Infine, terzo soggetto è la politica, che appare in un ruolo secondario, evanescente, quando non ancillare nei confronti degli altri due livelli.
Va detto che anche la prova di reato, la tangente, oggi sembra più difficile da individuare.
È vero: nel caso di Milano, sembra esserci un utilizzo di tecniche più sofisticate di retribuzione delle prestazioni offerte. Però le mazzette non sono scomparse, il denaro contante resiste come forma di corruzione. Per i magistrati è in ogni caso più difficile individuare le modalità con cui si compiono eventuali reati, perché è complicato ricondurre tutto al codice penale, dove deve esserci relazione riconoscibile nel do ut des: ti do qualcosa in cambio di qualcos’altro. Invece oggi le controprestazioni sono spesso differite nel tempo e garantite da altri.
La Procura non rischia di costruire però un castello di carte enorme, in cui aggettivi, immagini e iperboli sul «vorticoso circuito di corruzione ancora in corso» finiscono in realtà per evidenziare più giudizi politici che analisi fattuali?
I fatti parlano da soli, ma convengo sulla necessità di una maggior sobrietà nel descrivere quanto è accaduto. A volte anche i magistrati si fanno prendere la mano ed eccedono in enfasi retorica. In ogni caso, sapere quel che succede, anche dagli stralci delle intercettazioni pubblicate, resta a mio avviso un elemento di trasparenza e di tutela per i cittadini.
Quale rischia di essere per i territori e per le comunità l’esito di inchieste di questo tipo?
Un esito c’è già: la politica ha finito per abdicare al proprio ruolo. Le scelte sono eterodirette, le speculazioni immobiliari paiono finalizzate a garantire l’esclusivo profitto agli azionisti, non l’interesse della comunità o anche solo il decoro urbano. Anche appellarsi alla legittimità formale degli atti può rivelarsi un boomerang: pensi a cosa sarebbe successo se avessero approvato il cosiddetto “salva Milano”, che doveva garantire atti di dubbia legittimità, come stanno dimostrando le indagini degli ultimi mesi... Avremmo rischiato uno scenario di corruzione a norma di legge e non sarebbe stata neppure la prima volta.
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