Le false parole del figlio di Riina, la risposta della Chiesa di Sicilia

L'arcivescovo di Monreale, Isacchi, dopo l'intervista al terzogenito del boss: «Parla alla pancia del territorio. Noi rispondiamo con i progetti sociali e culturali»
September 25, 2025
Le false parole del figlio di Riina, la risposta della Chiesa di Sicilia
. | L'arcivescovo di Monreale, Gualtiero Isacchi, partecipa ad un evento pubblico
«Dico ai giovani, non credete al figlio di Totò Riina. Gli schemi di “gomorra” lo fanno diventare famoso ma è andato a dire una verità che non esiste. Bisogna rispondergli con iniziative concrete socio-culturali, come stiamo facendo noi». Così monsignor Gualtiero Isacchi, arcivescovo di Monreale, nel cui territorio si trova Corleone, commenta la recente intervista a Giuseppe Salvatore Riina, terzogenito del “capo dei capi”. Dopo una condanna a 8 anni e 10 mesi per associazione mafiosa, “Salvuccio” nel 2023 è tornato a vivere a Corleone e continua a difendere il padre, negando le sue sanguinarie responsabilità. «Non l’ho mai visto compiere un atto di violenza», ripete. «Dal figlio di Riina non ci si poteva aspettare altro – è la replica dell’arcivescovo –. Ma non troverà terreno fertile. La gente è abituata a queste sparate e non gli dà peso, ma non possiamo prendere con leggerezza le sue affermazioni. Parla alla pancia di una parte del nostro territorio. E noi dobbiamo far sentire una voce diversa. Anche il silenzio, che non è omertà ma rassegnazione, non va bene. Va sviluppato un discorso più critico. Non basta scendere in piazza contro di lui. Se invece aggiungiamo qualcosa di concreto funziona».
Ed è ai giovani che il presule parla. «Nel territorio diocesano, e quindi anche a Corleone, i giovani hanno il desiderio del cambiamento, non sono attratti dal modello mafioso, sanno che può portare solo alla morte e la morte di innocenti. Ma nelle zone dove si vivono maggiormente disagio e degrado, quello è l’unico modello. Qui abbiamo delle zone periferiche in cui i ragazzi delle scuole medie e superiori riescono a guadagnare 6-700 euro al mese facendo i “pali” per lo spaccio della droga. Per loro questo modello aiuta, salva la vita». La mafia dei favori dove non vengono tutelati i diritti. Un tema che l’arcidiocesi intende affrontare con interventi molto forti. «La mafia è molto bene organizzata. Ancora adesso quando uno va in carcere immediatamente, i rappresentanti della mafia si presentano alla moglie e ai figli per offrire aiuto. Ma anche noi sappiamo quando vengono arrestati e stiamo riorganizzando la Caritas e i centri di ascolto per arrivare prima in questa famiglie». Risposte innovative: «L’elemento su cui sto insistendo è proprio quello del fare. Il Signore ha mandato qui un brianzolo innamorato di filosofia, però un brianzolo se non fa, se non muove le mani… Qui la difficoltà è tradurre in pratica un desiderio, un sogno, un bisogno».
Monsignor Isacchi riconosce che «in questa terra dove si può toccare con mano la lotta tra il bene e il male, l’impegno di tutte le forze dell’ordine ha cambiato completamente il clima. Laddove lo Stato è presente in un certo modo la cultura cambia. Il popolo di Corleone non è minimamente schierato dalla parte di Riina». Però, insiste ancora, «qui c’è anche rassegnazione perché “nulla mai cambierà”, che non è solo un detto gattopardiano ma è un elemento culturale. Quando si chiede giustizia, un sostegno, non c’è. Le famiglie offrono speranza ai propri figli solo fuori della Sicilia. La Chiesa di questo territorio o torna ad occuparsi della questione sociale oppure non capisco cosa ci stiamo a fare». Mentre si racconta poco della Corleone positiva. «È il problema comunicativo che parla solo alla pancia e non si occupa della verità. Come Chiesa stiamo studiando modelli comunicativi nuovi per raccontare tutto il bello di questa terra».
Soprattutto iniziative concrete. Il primo progetto riguarda il santuario della Madonna del Rosario di Tagliavia, nel territorio corleonese. Un antico feudo di 145 ettari. Ora una parte è stata data alla Missione speranza e carità di Biagio Conte che ci coltiva grano. L’altra parte del terreno è stata affidata alla pastorale Giovanile diocesana. «Sto chiedendo ai giovani due cose: aiutateci a esprimere in modo nuovo la devozione mariana e facciamo diventare il santuario un luogo di accoglienza ma anche dove sviluppare un’attività legata al terreno, con una cooperativa agricola. Ho già avuto diverse risposte che sono un segno di grandissima speranza». L’altra iniziativa riguarda il Palazzo reale di Monreale, dove cominciò il sogno di Guglielmo II. «Qui abbiamo già una biblioteca ricchissima, e che vorrei ristrutturare per inserire il palazzo nel nostro circuito museale, ma avviando un’attività turistica-culturale, con un caffè letterario, presentazione di libri, e altre attività, ma soprattutto dando la possibilità di lavoro a tanti giovani. Inoltre, «su un terreno diocesano stiamo realizzando un parcheggio, la cui mancanza è una delle piaghe di Monreale, che darà lavoro ad altri giovani». Insomma «cultura come occasione di lavoro e anche per rilanciare le nostre bellezze. La mafia non ama la bellezza che invece è uno strumento antimafia. E lo è anche il pensiero ma che deve diventare un pensiero che muove le mani, perché la speculazione è bella ma deve essere fatta anche con le mani e con i piedi». Ricordando che «la Chiesa non deve combattere la mafia, c’è già chi lo fa bene. Il problema è un certo tipo di cultura e noi dobbiamo combattere quella».

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