La strage sul lavoro di Calenzano un anno fa era «evitabile»

di Diego Motta, inviato a Calenzano (Firenze)
Nel mirino la presenza di lavoratori diversi, con mansioni differenti, nello stesso spazio. Il procuratore Tescaroli: non ci sono casi analoghi in Europa. Il Comune ed Eni insieme per la riconversione dell'impianto, che diventerà una centrale fotovoltaica
December 9, 2025
La strage sul lavoro di Calenzano un anno fa era «evitabile»
I primi interventi un anno fa a Calenzano, dopo l'esplosione al deposito Eni il 9 dicembre 2024 / Ansa
Nel luogo della strage è rimasta una scritta: deposito di Calenzano. C’è un mazzo di fiori ancora sul marciapiede. Oggi per la comunità cittadina sarà il giorno del ricordo. «Un anno fa eravamo qui in ufficio, quando c’è stata l’esplosione. L'onda d'urto è stata tremenda» ricorda il sindaco Giuseppe Carovani. Era il 9 dicembre 2024, quando prese fuoco l’area delle pensiline di carico carburante in cui c’erano le autobotti, a pochi metri da dove si stavano effettuando attività di manutenzione sul sito. Morirono cinque persone: Davide Baronti, Carmelo Corso, Franco Cirelli, Vincenzo Martinelli e Gerardo Pepe. Tre autisti e due tecnici. I feriti furono una trentina. «Si è trattato di un evento unico in Europa, che ha messo a nudo una serie di criticità» dice oggi il procuratore di Prato, Luca Tescaroli, che nel corso dell’inchiesta ha aperto fascicoli d’indagine a carico di dieci persone, tra cui sette manager Eni. «Non abbiamo trovato casi analoghi in altri Paesi» dice Tescaroli, che parlò subito di «incidente prevedibile ed evitabile». Dodici mesi dopo, si può dire che è stata la strage del lavoro spezzato, quella di Calenzano. Il lavoro spezzato in tanti rivoli, suddiviso di funzione in funzione, di appalto in appalto, di subappalto in subappalto. Una filiera difficile da ricondurre a unità, soprattutto quando si deve decidere “chi fa cosa” in materia di sicurezza. A chi spettava infatti vigilare per evitare quella tragedia? C’era una responsabilità superiore oppure ciascun pezzo doveva fare meglio, e non ha fatto, quel che poteva per garantire livelli di controllo all’altezza?
Quei casi in sequenza
«C'è un filo conduttore che ha legato Calenzano ad altre stragi sul lavoro, dal caso dell'Esselunga a Firenze alla stazione di Brandizzo, fino alla centrale di Suviana: è la logica del profitto, che viene prima degli investimenti in sicurezza» sintetizza Fabio Franchi, segretario generale della Cisl Firenze-Prato. «Le stragi multiple non sono una casualità - continua il sindacalista -. Si chiede ai lavoratori di fare tutto più velocemente, di ridurre i tempi, di essere più produttivi». È accaduto nella vicina Prato a Luana D’Orazio, la giovanissima finita intrappolata nella trama di un orditoio dove era stata manomessa la protezione, «per ottenere un 8% in più di produttività» hanno scritto i consulenti tecnici nelle risultanze dell’indagine sulla sua morte. «Il lavoro nel deposito dell’Eni e in tanti altri siti era troppo parcellizzato, mancava una regia unica sulla sicurezza, una responsabilità centralizzata – aggiunge Leonardo Mugnaini, coordinatore della segreteria Uil di Firenze -. Nell'esplosione sono state coinvolte professionalità diverse: padroncini che di mestiere fanno gli autotrasportatori, manutentori, tecnici. Adesso vogliamo capire quale sarà il futuro della struttura e come verranno garantiti i livelli occupazionali». Anche per Elena Aiazzi, responsabile Cgil per la Piana, che incontriamo alla Camera del lavoro di Sesto Fiorentino, «ciò che preoccupa è proprio lo smembramento delle attività, che produce il risultato di una filiera divisa tra appalti e subappalti e complessivamente riduce le garanzie di sicurezza per il personale. A maggior ragione quando si verifica la concomitanza di presenze diverse con competenze differenti sullo stesso sito, come è avvenuto a Calenzano».
La necessità di una svolta
In questi mesi si è continuato ad indagare sulle cause di quella tragedia e insieme si è deciso di voltare pagina. «È stata la comunità innanzitutto a reagire. Ricordo un'assemblea pubblica in cui sono emersi i timori della gente, che ha ripetuto quello che fin dall’inizio avevamo denunciato: non c'erano più le condizioni per continuare con quell'impianto» sottolinea il sindaco Carovani. Settimana scorsa, l’annuncio in Comune fatto da Eni, insieme alla Regione Toscana: sì alla realizzazione di una grande centrale fotovoltaica laddove oggi si trova il deposito, a lungo tenuto sotto sequestro dalla magistratura. In questi mesi, il territorio ha dovuto rispondere soprattutto a un interrogativo: come mantenere la vocazione industriale del sito, che fino ad alcuni decenni fa veniva considerato tra le aree depresse e che in seguito si è trovato al centro di un intenso sviluppo infrastrutturale, senza andare ulteriormente a incidere su ambiente e consumo di suolo? La risposta è arrivata anche grazie all’impegno di Eni, che vuole chiudere insieme al territorio quella pagina dolorosa. In concreto, si prevede l’addio all’attuale struttura, il progetto per la bonifica del sito e, a breve, il retropompaggio verso il sito di Livorno delle 40mila tonnellate di carburanti ancora nel deposito. Poi prenderà forma la riconversione produttiva dell’impianto, con la realizzazione nell’area di una centrale fotovoltaica da 20 Mwp (megawatt di picco, ndr) corrispondente al consumo elettrico di circa 10mila famiglie. Insieme ci saranno una serie di interventi finanziati dal colosso energetico a favore, tra gli altri, del ripristino degli impianti sportivi danneggiati, come il campo sportivo, la piscina e il palazzetto del pattinaggio di Calenzano. «Abbiamo lavorato insieme alle istituzioni locali con molto impegno per raggiungere questo accordo» ha sottolineato Giuseppe Ricci, direttore operativo di trasformazione industriale di Eni. Di «scelta strategica per la Toscana» ha parlato il governatore Eugenio Giani, tra i registi dell’intesa, secondo cui ci sono «tre obiettivi fondamentali: sicurezza energetica, sostenibilità ambientale e sviluppo del territorio». Ce n’è abbastanza per dire, come sostiene il sindaco, che «questo percorso condiviso è una svolta rispetto a una storia lunga 60 anni e per un balzo decisivo verso un futuro sostenibile sulla strada della decarbonizzazione».

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