«La questione morale c'è ancora. Come si fa a non provare vergogna?»

Nando dalla Chiesa: i fondi d'investimento immobiliari pensavano di poter comandare in Comune. Ma le responsabilità non sono solo qui: a livello nazionale c'è un'offensiva contro le regole
July 17, 2025
«La questione morale c'è ancora. Come si fa a non provare vergogna?»
Fotogramma | Nando Dalla Chiesa
A Milano è tornata la questione morale. Come se nulla fosse, a oltre tre decenni di distanza da Tangentopoli. È un tema che riappare, ciclicamente, sotto la Madonnina e che per questo non può sorprendere. Correva l’anno 1993 quando Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto ucciso dalla mafia, venne sconfitto da Marco Formentini, primo sindaco della Lega, nella corsa per Palazzo Marino. «Questa città ha sempre avuto una certa riluttanza ad affrontare la questione morale» spiega oggi il professore di Sociologia della criminalità organizzata all’Università degli Studi di Milano. «Me ne accorsi proprio in quella campagna elettorale. La legalità spaventa, inquieta: è il dehors costruito senza permesso, il gradino abusivo, la raccomandazione. Da allora quando parlo di questi temi, suggerisco a chi vuole candidarsi di parlare di correttezza, piuttosto che di legalità. È un concetto più semplice da accettare per il cittadino comune. Peccato poi che quando si fa riferimento al principio di correttezza, la correttezza da discutere è solo quella degli altri». L’analisi di Dalla Chiesa sull’ultima inchiesta che ha sconvolto il capoluogo lombardo è lucida, a tratti quasi spietata. «Come si fa a non provare imbarazzo per le carte che stanno uscendo dalla Procura? Chi può immaginare di costruire grattacieli dentro un cortile? Spero si provi almeno un po’ di vergogna…».
Quali sono a suo parere le responsabilità in campo, fatto salvo il principio della presunzione d’innocenza?
C’è un livello di responsabilità politico, che va riconosciuto al tempo stesso con molta nettezza e con molto equilibrio. È evidente che qualcuno, stando alla ricostruzione fatta dalla Procura di Milano, ha pensato di poter comandare il Comune e che il sindaco Sala ha cercato di arginare pressioni che a un certo punto si sono fatte insostenibili. Va distinto il sistema delle complicità, in cui c’era chi faceva accordi per guadagnarci, garantendosi soldi e consulenze, dal sistema delle compatibilità, dove è parso fin dall’inizio evidente che non si era attrezzati, a livello istituzionale, per contrastare le pretese dei fondi d’investimento. Serviva una voce autorevole in grado di dire a questi signori: voi qui non comandate, perché non siete i padroni della città.
Invece abbiamo assistito a processi autorizzativi agevolati per la costruzione di grattacieli, in cambio di oneri di urbanizzazione risibili…
Per questo dico che Milano non ha gli strumenti per affrontare la questione morale. Non vuol dire che devono comandare i tribunali, al contrario. Vuol dire che la legalità può essere un sentimento e una risorsa da utilizzare dal punto di vista etico e giuridico per immaginare un futuro sostenibile. Invece, nel tempo dell’edilizia forsennata, è stato fatto tutto immaginando che Milano dovesse essere una città di ricchi. Ma le città dei ricchi non esistono, perché dove ci sono i ricchi esistono anche i poveri. Il punto è che ai poveri non ha pensato più nessuno. Chi ha tutelato i diritti di insegnanti, autisti, rider, lavoratori del terziario? Nessuno. Così nella metropoli è scomparso anche il ceto medio.
È possibile ora invertire la tendenza e immaginare lo sviluppo di una città dal basso?
Non prima di aver compreso e denunciato l’attuale declino, morale e sociale. Milano non solo è stata immaginata a misura delle persone più facoltose, programmando la sua urbanistica a colpi di strumenti non previsti. Ha anche fatto a meno del pubblico, nella sua concezione originaria. Pensate al Consiglio comunale: deve poter contare nelle scelte decisive, invece è stato puntualmente bypassato. Non è possibile che un’istituzione funzioni così. Quando c’è uno Stato, ci sono un territorio e un popolo: il territorio è stato usato per le scorribande dei fondi d’investimento stranieri, il popolo è stato tenuto fuori dalle decisioni che contano. Ho i brividi, adesso, nel ripensare al dibattito su San Siro…
Eppure, da Albertini a Pisapia, passando per la stessa stagione dell’Expo, occorre riconoscere che Milano ha attraversato stagioni importanti, con successi e riconoscimenti internazionali. Non è così?
Albertini è sempre stato ben disposto verso il principio di legalità e oggi ha ragione quando dice che se uno ha avuto incarichi pubblici non può stare nelle commissioni che contano. Anche su Expo la struttura di Cantone ha fatto il possibile per combattere infiltrazioni criminali nelle opere e per tutelare la comunità. Detto questo, l’Autorità nazionale anticorruzione negli ultimi anni ha faticato a tenere il passo rispetto alle sfide che dovevamo affrontare e la colpa non è stata soltanto di Milano. Le scelte che hanno portato a una minor trasparenza degli appalti e dei lavori pubblici e che hanno ridotto la tracciabilità dei pagamenti non possono che ricadere sui governi centrali. A livello nazionale, c’è stata un’offensiva recente molto forte contro le regole, che stiamo ancora pagando. Se in questa città la rigenerazione urbana non ha portato a una rigenerazione morale, bisogna anche dire che la debolezza di Milano è il segnale di una debolezza più grande. Quella del sistema Italia.

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