La plastica e il "fallimento di un successo"

Dal secondo dopoguerra a oggi, la metà dei rifiuti di plastica è finita in discarica senza alcun riciclo, ogni anno 460 milioni di tonnellate prodotti destinati a triplicare entro il 2060
June 8, 2025
La plastica e il "fallimento di un successo"
Imagoeconomica | Solo il 9% della plastica prodotta, a livello mondiale, viene riciclata
In queste ore, in Italia, la Commissione Infanzia e Adolescenza della Camera, insieme con Unicef, ha svolto un incontro per riflettere su come il cambiamento climatico stia erodendo i diritti delle giovani generazioni. I dati raccolti, anche grazie agli scienziati intervenuti, sono decisamente inquietanti, soprattutto per quel che riguarda il cosiddetto “fallimento di successo”: la plastica, da osservare sotto varie angolature. Dal secondo dopoguerra a oggi, la metà dei rifiuti di plastica è finita in discarica senza alcun riciclo e i 460 milioni di tonnellate prodotti sono destinati addirittura a triplicare entro il 2060, se i negoziati di agosto 2025 dovessero essere un buco nell’acqua, come quelli di Busan dello scorso anno.
In Europa, il consumo finale di plastica ha registrato un leggero calo da 58,8 milioni di tonnellate (Mt), nel 2018, a 56,5 Mt, nel 2020. Il calo va soprattutto connesso alla crisi pandemica e non rappresenta di certo un’inversione del trend, anzi, guardando l’ultimo cinquennio, gli studiosi non solo hanno segnalato un eccessivo consumo di plastica nel Vecchio Continente, ma hanno previsto che il consumo dell’UE raddoppierà nel giro di vent’anni, se la rotta non dovesse essere invertita in maniera sostanziale. Fra il 2020 e il 2025, si è osservato come il settore degli imballaggi e quello dell’edilizia abbiano assorbito più della metà delle materie plastiche in Europa, seguiti da automotive, apparecchi elettronici, casalinghi, tempo libero e sport, agricoltura e settore tessile. Guardando, invece, ai rifiuti urbani di plastica esportati, la Francia è il paese da cui proviene il maggior quantitativo: 101.000 tonnellate. Sempre nell’ambito delle esportazioni di rifiuti di plastica, si nota che dall’Ue sono complessivamente aumentate di uno sbalorditivo 36% nel 2024, rispetto al 2022.
Queste tendenze hanno portato, di conseguenza, a rallentare la capacità di riciclaggio della plastica, scegliendo, in alcuni casi, uno smaltimento verso aree della Terra più fragili, come alcuni Paesi africani e con l’assenso deliberato della Turchia. Tuttavia, mentre il Green Deal europeo procede, sia pur molto a rilento, quel che emerge è soprattutto l’inerzia degli Usa e della Cina, con un impatto significativamente negativo sulla salute dei più piccoli, proprio a partire dall’eccessivo quantitativo di plastiche rilevato in alcuni cibi. L’associazione dei consumatori statunitensi, in queste ore, ha chiesto l’intervento della Fda, poiché, secondo il loro report, 84 degli 85 alimenti da supermercato e fast food contengono "plastificanti" noti come “ftalati”, sostanza chimica utilizzata per rendere la plastica più resistente. Inoltre, il 79% dei campioni di cibo esaminati contiene bisfenolo A, un'altra sostanza chimica presente nella plastica. Il gruppo dei consumatori ha dichiarato che è urgentemente attesa una rivalutazione dei rischi dei plastificanti da parte delle agenzie di controllo, proprio perché alcuni di questi elementi sono stati ritrovati persino negli omogeneizzati. Il bisfenolo A, infatti, è un interferente endocrino, impiegato sia per usi alimentari sia per la produzione di resine; al momento è oggetto di protocollo per la rivalutazione dei rischi sanitari, ma non è ancora stato messo al bando, nonostante sia evidente per i pediatri americani come esponga i bambini, nel futuro, al rischio di diabete e malattie circolatorie. Da parte del governo americano non c’è alcun segnale di intervento sul tema, nonostante l’associazione dei consumatori abbiamo denunciato anche diverse mense scolastiche per l’utilizzo di questa controversa componente plastica. L’altro versante da segnalare è la Cina. L’Università di Pechino, nel Dipartimento di Economia, ha di recente pubblicato un dossier del ricercatore Shan Chong, dove si segnala come la produzione cinese di plastica primaria, nel 2006, era di 26,03 milioni di tonnellate, che rappresentavano circa il 15% della produzione globale di plastica. A quel tempo, i Paesi europei avevano la più alta produzione relativa alla plastica, che rappresentava circa il 25% di quella mondiale. Questo modello è cambiato dal 2010, quando la produzione della Cina è salita bruscamente a 44,33 milioni tonnellate. Solo nel 2018, la Cina ha prodotto 88,55 milioni di tonnellate di plastica primaria.
È evidente che se da una parte il processo di modernizzazione ha fatto crescere l’economia cinese, dall’altra ha avvelenato il futuro dei bambini. E così, mentre il governo cinese pubblicizza l’estromissione dei rifiuti provenienti dall’estero, come buona pratica ambientale (ed effettivamente è un buon inizio), non dice dell’elevatissima produzione interna. L’Unicef segnala il caso di Guiyu, una discarica di cui si parlò tanto nel 2016 e di cui, ad oggi, si pagano ancora le conseguenze per mancati interventi. Secondo quanto riportato nello studio del professor Huo Xia, il 90% dei bambini - tra 1 e 6 anni - residenti nella città di Guiyu è afflitto da avvelenamento da piombo e da microplastiche. Ancora un altro aspetto, che ci riguarda. La contraffazione proveniente dalla Cina riesce, spesso, a superare i controlli europei e a fine 2024, in Italia, sono state ritrovate 4.000 confezioni di “slime” cinese, la pasta sintetica plasmabile, molto apprezzata dai bambini più piccoli. In questi materiali contraffatti, destinati all’industria dei giocattoli, è stata segnalata una presenza di ftalati particolarmente dannosi per bocca ed occhi. Il paradosso cinese è notevole, poiché, sempre più, le politiche governative promuovano nella scuola primaria incontri di educazione ambientale ed investono nella ricerca in tal senso; tuttavia il Paese resta un gigante dell’inquinamento.

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