In 10 anni le Ong hanno soccorso 180mila persone

Il bilancio delle organizzazioni fra porti chiusi, decreto Piantedosi e Memorandum Italia-Libia
December 3, 2025
In 10 anni le Ong hanno soccorso 180mila persone
L'ultimo soccorso di Emergency, nelle ultime ore, lungo la rotta del Mediterraneo centrale: sono in tutto 119 le persone messe in salvo e ora a bordo della nave Life Support/Dario Bosio
Oltre 180 mila persone soccorse in mare dal 2015 a oggi, le difficoltà dei porti chiusi e la criminalizzazione dei soccorsi, in aggiunta al decreto Piantedosi e al memorandum Italia-Libia. È l’attività, in sintesi, delle Ong impegnate in ricerca e soccorso di migranti a rischio nel Mediterraneo centrale e in prima linea nella protezione del diritto alla vita. «Dieci anni in cui le Ong, di fronte al progressivo disimpegno dalle operazioni di soccorso in mare degli Stati costieri e dell’Unione Europea e alla loro decisa virata su politiche di esternalizzazione delle frontiere, hanno esercitato una funzione sussidiaria e sono diventate garanti dell’obbligo di prestare assistenza alle persone in pericolo di vita in mare sancito dal diritto internazionale marittimo» sottolineano le organizzazioni che mercoledì al Senato hanno presentato la loro attività durante la conferenza stampa “Dieci anni di soccorso in mare nel Mediterraneo centrale”.
A oggi con 15 navi, 7 imbarcazioni a vela e 4 aerei, le Ong continuano a operare per il diritto alla vita, ma a essere invariata nel tempo è la pericolosità del Mediterraneo centrale, che si conferma una delle rotte migratorie più letali al mondo: il bilancio delle persone morte o disperse dal 2015 a oggi ha superato la drammatica soglia delle 22 mila vittime, di cui 1.184 solo nel 2025 (Organizzazione internazionale delle migrazioni - Oim). «Le persone tratte in salvo riferiscono con frequenza agli operatori umanitari di aver tentato senza successo di ottenere un visto regolare e di essere state costrette a partire per sfuggire a conflitti, violenze, persecuzioni, gravi violazioni dei diritti umani, insicurezza alimentare o calamità naturali. Molte di loro raccontano inoltre di aver subìto estorsioni, sfruttamento e diverse forme di violenza lungo tutto il percorso migratorio».
Durante la conferenza sono stati presentati numeri e analisi dell’ultimo decennio di Open Arms ed Emergency.  «Quella nel Mediterraneo è a tutti gli effetti una crisi umanitaria non riconosciuta: l’Italia e l’Europa hanno puntato sull’esternalizzazione delle frontiere, finanziando Paesi come Libia e Tunisia con oltre 240 milioni di euro – aggiungono - Fondi investiti in accordi con Paesi che non possono essere considerati sicuri. In Libia e in Tunisia, le persone in movimento sono sistematicamente esposte a gravi violazioni dei diritti umani, detenzione arbitraria e tortura: gli accordi con questi due Paesi rendono l’Italia e l’Europa complici di tali violazioni».

Dalla fine di Mare Nostrum all’ostruzionismo alle Ong

Nel 2014, dopo la fine della missione Mare Nostrum, che aveva salvato oltre 100.000 persone in un anno, il Mediterraneo è tornato a essere una rotta mortale. È in questo vuoto che nel 2015 è nata la flotta civile, come risposta all’abbandono istituzionale. Mentre nei primi anni di questo fenomeno le autorità e la Guardia Costiera italiana cooperavano con le Ong, «dal 2017 c’è stata un’inversione di rotta fatta di criminalizzazione e ostruzionismo, che ha di fatto limitato la capacità operativa e la legittimità della flotta civile. Se fin dall’inizio delle operazioni di soccorso in mare si sono registrati deliberati attacchi da parte della cosiddetta Guardia Costiera libica contro le imbarcazioni della flotta civile, negli ultimi anni si è assistito a un allarmante aumento in intensità e violenza di tali attacchi» ricordano le Ong. Dal 2016 a oggi, sono stati documentati 60 incidenti a danno delle Organizzazioni (fonte: Sea Watch), tra cui episodi di sparatorie dirette contro o in prossimità delle navi umanitarie da parte delle autorità e delle milizie libiche (fonte: Sos Méditerranée). L’ultimo solo due giorni fa verso l’imbarcazione dell’Ong Louise Michel.

Il Memorandum Italia-Libia

Questo nuovo corso è iniziato nel 2017 con la firma del “famigerato Memorandum d’Intesa Italia-Libia”, che prevede il sostegno alla cosiddetta Guardia costiera libica e che l’Italia, da allora, non ha voluto sospendere nonostante, in questo paese, torture, violenze, detenzioni arbitrarie e tratta di esseri umani siano documentate dall’ Onu e da organizzazioni indipendenti.

La politica dei “porti chiusi”

Inoltre, dal 2019, con la politica dei “porti chiusi” c’è stato un nuovo salto di scala in questo processo di criminalizzazione e ostruzionismo che si è rafforzato negli ultimi due anni con il Decreto Piantedosi: una legge che, in caso di violazione delle sue disposizioni, prevede sanzioni pecuniarie e detenzioni amministrative delle navi e che, a oggi, ha portato a 35 fermi per le Ong. Assegnando porti lontani centinaia di miglia dal luogo del soccorso, le autorità italiane costringono le navi delle Ong a molti giorni di viaggio in più, tanto che dal 2023 le navi umanitarie - come calcolato da Sos Humanity - hanno impiegato oltre 760 giorni di navigazione in più per raggiungere i porti di sbarco distanti e percorrendo oltre 300mila chilometri in più rispetto a quanto sarebbe stato necessario se si fossero potute recare nel primo porto limitrofo alla zona operativa.
«Una pratica vessatoria e punitiva che posticipa senza motivo l’assistenza di cui hanno bisogno le persone soccorse, mettendo a rischio la loro salute psico-fisica e ritardando il loro accesso ai servizi essenziali, come il supporto psicologico e la richiesta di protezione internazionale. E che tiene lontane le navi di soccorso dall’area operativa, così da limitarne sia la capacità operativa che la testimonianza. Il decreto Piantedosi, insieme alla pratica dei porti lontani, continua a sottrarre tempo e risorse preziose alla tutela della vita di chi è in mare” commenta la presidente di Emergency Rossella Miccio.
Le Ong chiedono allo Stato italiano e all’Unione Europea di ridurre il “rescue gap”, attivando una missione di soccorso europea, riconoscendo il ruolo umanitario delle Ong, abbandonando qualsiasi pratica di criminalizzazione, abrogando il decreto Piantedosi e assicurando l’assegnazione del porto di sbarco più vicino. Le Ong chiedono di interrompere ogni azione a supporto dei respingimenti verso Libia e Tunisia che non possono essere considerati un luogo sicuro per lo sbarco dei naufraghi e di non replicare le politiche di esternalizzazione in Paesi terzi. «Chiediamo di investire in programmi di cooperazione di lungo periodo nei Paesi di origine e transito e di ampliare le vie di accesso sicure e legali in Europa».

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