Ico, Mamo e gli altri: ogni 40 secondi una persona si toglie la vita
Oggi è la Giornata mondiale della prevenzione contro i suicidi. Alcuni genitori che hanno vissuto il dramma di perdere i figli hanno pubblicato libri sulle loro storie e tengono incontri nelle scuole

L’inverno scorso un ragazzino, mio vicino di casa, a Milano, si è gettato dal quarto piano. Aveva 15 anni. Una giornata uggiosissima, tremenda: una fine precoce come tante, troppe, senza un perché? La scena del suo funerale, la chiesa piena di adolescenti in lacrime, mi riporta a quello dei miei due amici fragili, i gemelli, Federico e Massimiliano che se ne andarono per sempre un giorno d’estate del 1991. Avevano appena 20 anni, bellissimi, furbissimi, due artisti: male in tutte le materie ma un 9, anche quello in comune, in disegno. Due ragazzi legati da quel cordone ombelicale inscindibile dei monocoriali: i gemelli venuti al mondo condividendo la stessa placenta. “Ico e Mamo”, per mamma Anna e papà Giorgio: l’uno non poteva fare a meno dell’altro. Federico si impiccò a un albero di un giardino di una vecchia villa abbandonata, dove con suo fratello fin da bambini andavano a giocare, alle 4 del pomeriggio. Sette ore dopo Massimiliano che era andato a cercarlo lo vide lì appeso come un palloncino a un ramo e decise di fare lo stesso. Ritrovo un vecchio ritaglio del “Corriere della Sera” di quei giorni che sembrano così lontani; eppure, così vicini e leggo l’unica testimonianza, quella di Betta la fidanzata di Federico che all’inviato Giampaolo Tucci confidò: «Federico me lo diceva spesso: mi uccido. Mi uccido, sono solo. Siamo soli».
Quella solitudine, quel vuoto a perdere, quel coraggio di vivere che troppo spesso non c’è, specie a vent’anni, Anna Poletti lo ha messo dentro il libro-diario Ico e Mamo (Cartograf). In quelle pagine, in cui ci ha messo il cuore straziato di una madre che non potrà mai cancellare un dolore indelebile, ora lo va raccontando nelle scuole. Agli adolescenti, ai ragazzi che incontra racconta quella disperata felicità dei suoi gemelli, ma soprattutto «che la vita è bella e che nessuno dovrebbe mai togliersela». È questo l’appello che viene ribadito oggi, 10 settembre in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio, promossa dall'Organizzazione Mondiale della Sanità assieme alla Federazione Mondiale per la Salute Mentale e dall’Associazione Internazionale per la Prevenzione al Suicidio. Un appello che deve arrivare in tutte le case. L’Oms informa di una persona che si toglie la vita ogni 40 secondi, circa 700mila suicidi all’anno nel mondo. L’Italia con i suoi 3.748 casi di suicidio almeno in questo non è in cima alle classifiche e con il 5,6 morti per 100mila abitanti è addirittura sotto la media europea. Ma questo non vuol dire che siamo fuori pericolo, anzi, la generazione che ha vissuto il Covid è la più attanagliata dall’ansia, dalle crisi di panico e dalla depressione. All’Ospedale Bambin Gesù di Roma tempo fa lanciarono l’allarme: nei due anni di pandemia si era registrato un 75% in più rispetto ai due anni precedenti di “giovanissimi” visitati al pronto soccorso per comportamenti suicidari. In un recente report dell’Unicef si legge che il suicidio è una delle quattro principali cause di morte tra i ragazzi in età compresa tra i 15 e i 29 anni e nel 2022 circa un individuo su sei tra i 10 e i 19 anni soffriva di un disturbo mentale diagnosticabile.
Quindi, la diagnostica avrebbe potuto evitare il gesto estremo? Davanti a un disturbo della mente o diffuso male oscuro è impossibile avere risposte certe. «L’Italia è all’8° posto su 36 Paesi per quanto attiene alla salute mentale e ha il 6° tasso più basso di suicidi adolescenziali (su 42 Paesi)» informa sempre l’Unicef, ma di contro ci sono quelle 7mila persone l’anno che hanno contattato l’Associazione Telefono Amico per confessare la propria volontà suicida. Nel primo semestre del 2024 il numero delle richieste di aiuto al Telefono Amico è sceso a 3.500. Molti di questi sono adolescenti vittime del bullismo (un dato che pare sia in calo), giovani dipendenti dalle droghe, dalla ludopatia e quelli colpiti da una solitudine atavica che attanagliava anche i “gemelli”.
La solitudine ha condotto al suicidio pure Giuseppe che, a Milano, nel marzo del 2014, si è tolto la vita a 21 anni. All’epoca non si parlava ancora di “hikikomori”, ma Giuseppe, come Mamo, non usciva più di casa. «Le cause del suo gesto sono state due: l’identità di genere indefinita perché si sentiva più donna, cioè “Noemi”, ma non riusciva ad affermarsi, e il suo stato di profondo isolamento», racconta il padre, Marco Termenana (si firma con lo pseudonimo) che a Giuseppe ha dedicato il libro Mio figlio . L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli (Csa Editrice). «Il mio libro – spiega papà Marco - è il tentativo di fare un po’ tutti autoanalisi. Ognuno di noi, per il ruolo che ricopre nella società, deve interrogarsi su ciò che provano e pensano i nostri giovani. E ai ragazzi dico: qualsiasi problema vi faccia stare male evitate che diventi un segreto celato dentro voi stessi. Parlate, apritevi e confidatevi sempre con qualcuno, perché il dialogo salva la vita».
Una vita che sta sempre più stretta a quei giovani confusi e infelici, così che l’esistenza spesso diventa una prigione. Nelle carceri italiane quello del suicidio è la piaga più difficile da rimarginare. Il dossier di “Ristretti Orizzonti” descrive il 2024 come annus horribilis: 246 persone hanno perso la vita nel corso della loro detenzione e tra il 2024 e il 2025 sono stati 124 i casi di suicidi accertati. L’incidenza 25 volte superiore tra chi si toglie la vita in cella rispetto al resto della società, pone invece l’Italia al di sopra della media europea. Ecco allora che questo 10 settembre assume davvero un significato vitale, per riflettere e per tentare di allontanare quel “cattivo pensiero” dalle menti di giovani e non. Magari cominciando dai pensieri positivi di una aforista e un cantore degli Angeli come Fabrizio Caramagna che ha scritto: «Quando ho voglia di suicidarmi, penso alla bellezza di un tramonto e dico: «Non ho il diritto di fargli questo».
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