Guerre, clima, aiuti: la mappa della fame nel mondo

L'analisi di Azione contro la Fame: dal Sudan al Bangladesh, dall’Etiopia all’Afghanistan 30 milioni di bambini in 13 contesti soffrono di malnutrizione acuta
October 9, 2025
Guerre, clima, aiuti: la mappa della fame nel mondo
Visite ai bambini nei campi profughi di Goma da parte di Azione contro la fame
«Mi chiamo Balu. Sono una giovane madre e vivo nello Stato di Borno. Negli ultimi anni ho dovuto più volte fuggire dalla violenza, lasciandomi alle spalle tutto ciò che avevo: la mia casa, i miei affetti, la mia vita. Nell’ultima fuga portavo un bambino sulla testa e un altro sulla schiena. Non ce l’hanno fatta: uno è morto mentre eravamo in cammino, l’altro pochi giorni dopo. Quel dolore non mi abbandona mai: lo porto con me ogni giorno». La voce di Balu, raccolta nel nord-est della Nigeria, apre la nuova Mappa delle emergenze alimentari diffusa oggi da Azione contro la Fame. È una testimonianza che riassume, nel dramma di una madre, il significato dei numeri che compongono l’analisi: 673 milioni di persone hanno sofferto di fame cronica nel 2024, secondo il rapporto Sofi 2025, mentre oltre 295 milioni in 59 Paesi hanno sperimentato forme di insicurezza alimentare acuta, come documenta il Global Report on Food Crises 2025.
Il documento di Azione contro la Fame non si limita a un censimento delle privazioni. Integra le fonti globali e offre un quadro vivo delle crisi più gravi, basato sui progetti e sulle testimonianze raccolte nei 155 Paesi in cui l’organizzazione è attiva. Dieci i contesti principali: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. A questi si aggiungono Sud Sudan, Haiti e la Striscia di Gaza, dove – pur con popolazioni più ridotte – la fame raggiunge livelli estremi, tra il 50 e il 100% degli abitanti. «La Mappa mostra come la fame stia diventando un fenomeno sempre più concentrato», spiega ad Avvenire Simone Garroni, direttore di Azione contro la Fame Italia. «Nei Paesi della mappa vive oltre la metà delle persone nel mondo che oggi non hanno accesso sufficiente al cibo. È un dato impressionante, che coincide quasi perfettamente con la mappa dei conflitti. Guerre, crisi climatiche e disuguaglianze economiche si alimentano a vicenda».
Nel villaggio di Dabaga, in Nigeria
Nel villaggio di Dabaga, in Nigeria
L’analisi dei dati rivela una serie di elementi comuni che definiscono l’evoluzione delle crisi alimentari. La fame acuta si concentra in un numero ristretto di Paesi, dove le persone in fase di carestia (IPC 5) sono in aumento. I fattori scatenanti – conflitti armati, eventi climatici estremi, crolli economici, disuguaglianze strutturali – si intrecciano e si moltiplicano. Nei contesti in cui le istituzioni sono più fragili, ogni choc si trasforma in catastrofe. Le conseguenze sono devastanti: quasi 30 milioni di bambini nei tredici contesti analizzati soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave. Almeno 13 milioni di donne in gravidanza o allattamento sono malnutrite. Dietro queste cifre c’è una rete di ostacoli che rallenta gli aiuti: accessi umanitari limitati, violenze diffuse, attacchi agli operatori, restrizioni burocratiche.
«Il nostro lavoro dimostra che la fame non è solo un problema di risorse scarse, ma di disuguaglianze profonde e strutturali – osserva Garroni –. Le crisi alimentari assorbono enormi risorse, che non vengono impiegate per costruire l’autonomia delle comunità. Così si alimenta un circolo vizioso. Serve una prospettiva nuova, guardando non solo a realtà geograficamente lontane, ma anche alle fragilità che crescono vicino a noi. La fame, in tutte le sue forme, è una realtà globale e multidimensionale». Un altro fattore trasversale emerge con chiarezza: il cambiamento climatico. Nelle regioni più esposte, le piogge imprevedibili e le temperature estreme compromettono i raccolti e le risorse idriche, riducendo la produttività agricola e innescando nuovi conflitti. «Il cambiamento climatico ridisegna la geografia della fame», afferma Garroni –. Colpisce sistemi agricoli già deboli, aggravando la vulnerabilità di chi vive di sussistenza. Promuovere pratiche agroecologiche e sistemi alimentari resilienti non è più una scelta ideale, ma una necessità».
Il rapporto indica sette raccomandazioni principali. La prima riguarda l’accesso umanitario pieno e sicuro, in linea con la risoluzione 2417 del Consiglio di sicurezza Onu, che vieta l’uso della fame come arma di guerra. Poi la necessità di integrare clima e sicurezza alimentare, con politiche agricole adattate ai cambiamenti climatici, e quella di mettere al centro donne e bambini, garantendo cure prenatali e trattamenti nutrizionali tempestivi nei primi mille giorni di vita. Azione contro la Fame chiede inoltre finanziamenti adeguati e flessibili, sostegno alle soluzioni locali, rafforzamento della prevenzione e, soprattutto, il riconoscimento del diritto al cibo come diritto umano.
Ma la realtà raccontata dai numeri è aggravata da un ulteriore dato: il progressivo disimpegno dei grandi donatori internazionali. «Già nel 2024 avevamo pubblicato un report sul funding gap: i Paesi in crisi alimentare risultavano sottofinanziati del 65% – ricorda Garroni –. Oggi assistiamo a un ulteriore calo drammatico di risorse, anche da parte di Stati Uniti e altri attori storici ». La Mappa restituisce un mondo dove la fame non è più solo un sintomo di povertà, ma un indicatore del fallimento di interi sistemi politici, economici e ambientali. Tuttavia, nelle comunità colpite, gli operatori di Azione contro la Fame continuano a registrare una sorprendente resilienza: la capacità di reagire, di organizzarsi, di ricostruire. È una forma di resistenza che non si misura in dati, ma in gesti quotidiani, nel lavoro di chi coltiva un campo inaridito, nel coraggio di una madre che continua a nutrire i figli nonostante tutto.
Resta una domanda, inevitabile: che cosa servirebbe per riscrivere, entro il 2030, la mappa della sicurezza alimentare? Garroni individua tre coordinate. «Ridurre i conflitti e far rispettare il diritto internazionale umanitario. Investire in sistemi alimentari resilienti e in pratiche agroecologiche. E, infine, intervenire sulla governance economica e sociale, affrontando l’inflazione alimentare e garantendo protezione sociale. Solo così si potrà uscire dalla trappola della fame e costruire un futuro più giusto».

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