Dormire nella vasca e altri stratagemmi: cittadini contro "movida selvaggia"
Il comitato del Centro storico fa ricorso al Tar Sicilia. «L’amministrazione è inadempiente rispetto all’obbligo di adottare un regolamento sul rumore»

Che ci fa una signora di una certa età, nella vasca da bagno del suo appartamento, mentre cerca di addormentarsi? Ecco il dettaglio paradossale della cronaca. Quella signora viveva a Trapani, in Sicilia. La vasca da bagno, non la più consona camera da letto, rappresentava per lei un rifugio contro la musica assordante e il clamore della movida.
Questa è appunto una storia di dettagli molesti, con un’eco che riguarda molti: il divertimento incontrollato, la sofferenza dei residenti alle prese con i decibel esagerati, ma anche i turisti che vivono il disagio nei bed and breakfast situati nelle zone maggiormente chiassose delle nostre città e le ricadute negative sulle strutture ricettive. Senza dimenticare la questione del cosiddetto “overtourism”. Nugoli di viaggiatori golosi di selfie, portano ricchezza e moltiplicano l’immaginario del web con le impronte social. Ma, per contrappasso, possono rendere la vita ancora più difficile a chi è già strapazzato dalla confusione.
L’ultima notizia in merito sembra destinata a smuovere le acque: il Comitato centro storico di Trapani, composto da residenti e titolari di strutture ricettive, ha nuovamente fatto ricorso, dopo dieci anni, al Tar Sicilia, contro l’ordinanza sindacale del 2025 che regola la movida trapanese, lamentando – come si legge in una nota – «provvedimenti straordinari, senza pianificazione né confronto pubblico».
L’ultima notizia in merito sembra destinata a smuovere le acque: il Comitato centro storico di Trapani, composto da residenti e titolari di strutture ricettive, ha nuovamente fatto ricorso, dopo dieci anni, al Tar Sicilia, contro l’ordinanza sindacale del 2025 che regola la movida trapanese, lamentando – come si legge in una nota – «provvedimenti straordinari, senza pianificazione né confronto pubblico».
«Questa volta, però – spiegano nel comunicato – il ricorso non si limita a chiedere l’annullamento dell’ordinanza, come avvenne nel 2014 con il precedente ricorso accolto dal Tar, ma contesta anche il silenzio-inadempimento del Comune, rimasto immobile per oltre dieci anni rispetto all’obbligo di adottare il piano acustico comunale e un regolamento sul rumore, come previsto dalla normativa nazionale». Un segnale che ha un’ampia portata simbolica in un dedalo nazionale di ricorsi e provvedimenti.
«Siamo contro il disordine e l’assenza di regole – dicono i ricorrenti –. Non chiediamo silenzio assoluto, ma equilibrio e vivibilità. Dopo anni di appelli ignorati, ci siamo visti costretti a ricorrere alla giustizia amministrativa». «Il caso di Trapani – aggiungono – si inserisce in un quadro nazionale più ampio, dove in molte città italiane, da Milano a Palermo, da Firenze a Lecce passando per Napoli, crescono i ricorsi contro ordinanze emergenziali emesse senza pianificazione e senza dialogo con le comunità locali».
«Non siamo contro il divertimento, ma contro l’anarchia – incalza Alberto Catania, il presidente del comitato –. Abbiamo partecipato a consigli comunali, incontri in prefettura, avanzato proposte. Ma ogni estate ci ritroviamo con gli stessi problemi, nonostante l’ordinanza di turno».
«Siamo contro il disordine e l’assenza di regole – dicono i ricorrenti –. Non chiediamo silenzio assoluto, ma equilibrio e vivibilità. Dopo anni di appelli ignorati, ci siamo visti costretti a ricorrere alla giustizia amministrativa». «Il caso di Trapani – aggiungono – si inserisce in un quadro nazionale più ampio, dove in molte città italiane, da Milano a Palermo, da Firenze a Lecce passando per Napoli, crescono i ricorsi contro ordinanze emergenziali emesse senza pianificazione e senza dialogo con le comunità locali».
«Non siamo contro il divertimento, ma contro l’anarchia – incalza Alberto Catania, il presidente del comitato –. Abbiamo partecipato a consigli comunali, incontri in prefettura, avanzato proposte. Ma ogni estate ci ritroviamo con gli stessi problemi, nonostante l’ordinanza di turno».
Il signor Catania, da anni, è impegnato sull’argomento: «Abito a venti metri dal caos e ho difficoltà perfino a rincasare, se non attraverso schiere di giovani con il bicchiere in mano, pure alle due di notte. C’è chi fa la pipì sul muro, chi sporca in un altro modo...». Ed è proprio lui a raccontare la trama paradossale della signora nella vasca: «Adesso non c’è più. Dormiva lì, perché il bagno era l’unica stanza della casa con un minimo di protezione. Non si può andare avanti così».
«È vero che il Comune di Trapani non si è mai dotato di un regolamento acustico, ma è vero altresì che noi abbiamo fatto fare le verifiche a un tecnico abilitato e abbiamo stabilito i parametri rispettosi della normativa nazionale per l’emissione decibel», risponde il sindaco, Giacomo Tranchida con una replica articolata.
«Dunque, questi parametri, che saranno oggetto di un futuro regolamento – aggiunge –, sono già oggetto dell’ordinanza sindacale ed è questa che i vigili urbani, polizia, guardia di finanza e carabinieri devono fare rispettare». I controlli però, si fa notare dal Comitato Centro Storico di Trapani, richiederebbero personale adeguato per far rispettare le regole. E spesso per tante amministrazioni comunali questa forza lavoro è insufficiente, non tanto per responsabilità locali ma per carenza di fondi.
«L’ordinanza – conclude il sindaco – è un po’ forzata, nel senso che, addirittura, attribuisce sanzioni accessorie, come per esempio, togliere il suolo pubblico e conseguente chiusura del locale se vieni “beccato” in presenza di una seconda infrazione. Poi, è necessario anche un elemento di equilibrio, noi abbiamo riportato l’ordinanza all’una di notte, stando dentro i parametri per le emissioni, ma non si può comunque pensare che il centro storico diventi un mortorio, un minimo di vivibilità ci vuole, dentro precise regole, che stiamo cercando di far rispettare».
«L’ordinanza – conclude il sindaco – è un po’ forzata, nel senso che, addirittura, attribuisce sanzioni accessorie, come per esempio, togliere il suolo pubblico e conseguente chiusura del locale se vieni “beccato” in presenza di una seconda infrazione. Poi, è necessario anche un elemento di equilibrio, noi abbiamo riportato l’ordinanza all’una di notte, stando dentro i parametri per le emissioni, ma non si può comunque pensare che il centro storico diventi un mortorio, un minimo di vivibilità ci vuole, dentro precise regole, che stiamo cercando di far rispettare».
Il problema assume un rilievo drammatico quasi ovunque. A Palermo, per esempio, ha fatto scalpore la vicenda di una docente giapponese che ha reso pubblico il suo commiato su Facebook. «Addio alla casa che amavo e in cui ho vissuto per 13 anni, nel cuore del centro storico – ha scritto Naoko Urata –. Mi piaceva, ma la movida fuori controllo mi ha spinto ad andarmene. Ero stanca di dover dormire con la musica a tutto volume, perché neanche le cuffie riescono a coprire quella musica orribile che va avanti fino all’alba. Sono stanca dell’indifferenza della gente, capace solo di criticare ma mai di agire. Per questo me ne vado». Uno scoramento condiviso da molti residenti della zona.
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