«Dall'Iraq all'Italia per i nostri bambini». L'odissea delle famiglie dei migranti
Nel 2025 sono arrivati in Italia 11.700 minorenni, ma solo mille sono con mamma e papà. Molti genitori portano i figli in Europa per poterli curare

«In una stanza illuminata da una luce flebile, con solo un tavolo, una panca e un condizionatore da arredo, ci aspettano in 4 – racconta un’operatrice di Terres des Hommes -. Alle loro spalle, separata da una porta – anche questa senza serratura – una stanza con 4 lettini. Materassi usurati, buste a terra con quel poco che hanno o che hanno avuto, che custodiscono, in attesa di spostarsi da lì». È così che vivono S. e J., originari del Nord dell’Iraq, insieme ai figli di 11 anni e di 8. Il figlio più grande adora la musica, balla subito quando la sente. Il più piccolo cerca attenzioni, prende tutti per mano e vuole correre fuori a giocare. Tra i due fratelli c’è una grande intesa. Al primo è stata diagnosticata la Sindrome di Down, al secondo invece è stato recentemente diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. «In Iraq non ci sono scuole per bambini con bisogni speciali, per questo siamo andati fino in Germania, poi – dalla fine del 2024 – in Italia». I bambini hanno bisogno di seguire terapie giornaliere, e hanno bisogno di accompagnamento costante. È solo una delle tante storie di migranti, famiglie con bambini. Ma spesso anche ragazzi minorenni che arrivano soli sulle nostre coste.
Il 20% dei migranti che sono arrivati via mare nel 2025 sono minorenni, in tutto circa 11.700 e di questi solo 1.000 sono arrivati insieme alle proprie famiglie. A questi si aggiungono le oltre 1.700 persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo nel 2025, alcuni dei quali facevano parte di nuclei familiari che non sono mai riusciti a portare a fine il viaggio. E 94 i bambini che hanno perso la vita. Ma sono numeri al ribasso: perché spesso la maggior parte dei naufragi avvengono all’insaputa di tutti. Lontano dagli occhi di chi potrebbe salvarli. Solo nel 2025, sono arrivate via mare in Italia oltre 63.900 persone. «Dietro ogni numero c'è una storia, spesso dolorosa, fatta di bambini e genitori che cercano solo di ricominciare in dignità» spiega Federica Giannotta Responsabile Programmi Italia di Terre des Hommes che, insieme a Unicef, ha realizzato il report "Famiglie in Viaggio-Storie di nuclei familiari nei centri di accoglienza in Italia" un'indagine sull'accoglienza delle famiglie richiedenti asilo in Italia. Il documento nasce da una raccolta di testimonianze tra Sicilia e Calabria, nei centri di prima accoglienza e accoglienza straordinaria (Cas), dove Unicef e Terre des Hommes operano offrendo supporto psicosociale. Un modo per dare visibilità a quelle famiglie invisibili giunte in Italia dopo un viaggio fatto di pericoli e spesso anche violenze e maltrattamenti.
Le famiglie rimangono spesso nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) per lunghi periodi, talvolta diversi anni. Soggiorni prolungati, con percorsi di inclusione sociale fragili, aumentano le difficoltà di accesso a condizioni di vita autonoma e riducono la libertà di scelta del proprio progetto di vita. Questo comporta rischi per la salute mentale, soprattutto per quelle persone che hanno già subito eventi potenzialmente traumatici, legati al percorso migratorio. «Le famiglie che giungono in Italia, spesso in fuga da conflitti, violenze o spinte dalla mancanza di cure essenziali per i propri figli e figlie, affrontano viaggi segnati da rischi estremi e gravi vulnerabilità. Non basta rispondere con interventi emergenziali: è necessaria una visione di lungo periodo, che consenta ai nuclei familiari di ricostruire la propria vita in condizioni di dignità e autonomia nell'interesse di quanti arrivano, soprattutto di bambine e bambini, e dell'intera comunità» sostiene Nicola Dell'Arciprete, Coordinatore della Risposta Unicef in Italia a favore dei minorenni migranti e rifugiati e delle loro famiglie.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






