Così una ragazza di Rimini costretta a nozze combinate è riuscita a ribellarsi
È stata picchiata e drogata dai genitori, poi convinta con l'inganno a tornare in Bangladesh per sposare un uomo più grande. Si è salvata rientrando in Italia con uno stratagemma e chiedendo aiuto

Ha dovuto fingere di cedere, di arrendersi, di accettare un destino non scelto, pur di salvarsi. Solo così una ragazza appena maggiorenne, cittadina italiana di origine bengalese, è riuscita a tornare in Italia dopo mesi di pressioni, maltrattamenti, minacce e violenze subite dai suoi stessi genitori. Una storia dolorosa, emersa in questi giorni a Rimini, dove i Carabinieri del Nucleo Investigativo hanno arrestato una coppia residente in città, madre e padre della giovane, con l’accusa di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona, somministrazione forzata di farmaci e induzione a matrimonio forzato.
A emettere l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari è stato il giudice per le indagini preliminari Raffaele Deflorio, su richiesta della Procura della Repubblica di Rimini, che ha coordinato l’indagine attraverso il sostituto procuratore Davide Ercolani. La vicenda ha avuto anche risvolti internazionali, tanto che si è reso necessario l’intervento del ministero della Giustizia per attivare un procedimento penale, vista la parziale consumazione dei reati all’estero.
Tutto ha inizio lo scorso autunno. Secondo la ricostruzione degli investigatori, i due genitori – 55 anni il padre, 42 la madre – avrebbero convinto la figlia (arrivata a Rimini a 7 anni) a partire per il Bangladesh con il pretesto di una vacanza e di visite familiari. Una volta giunta nel Paese di origine, però, le sarebbero stati sottratti passaporto, documenti e carta di credito. È a quel punto che la giovane si sarebbe resa conto del vero motivo del viaggio: costringerla a sposare un connazionale, uomo ben più grande di lei e appartenente a una famiglia benestante, in un matrimonio già combinato da tempo. Le nozze sono state celebrate il 17 dicembre 2024, nonostante l’opposizione della ragazza.
La coercizione non si è fermata lì. Dopo il matrimonio, la giovane sarebbe stata sottoposta a un controllo continuo, privata della libertà e costretta ad assumere farmaci: sedativi e altri medicinali volti a favorire la fertilità. Un vero tentativo di piegare la sua volontà, di ridurla a uno strumento. È in quel contesto che la ragazza (innamorata di un ragazzo di Forlì) ha trovato l’unico varco possibile: far leva sul desiderio, espresso dai parenti del marito, di vederla presto madre. Fingendo una disponibilità in tal senso, è riuscita a convincere i genitori ad acconsentire a un temporaneo rientro in Italia, con la scusa di voler fare accertamenti medici. Atterrata all’aeroporto di Bologna nell’aprile scorso, la giovane ha immediatamente chiesto aiuto. Ad accoglierla c’erano i Carabinieri, allertati in precedenza e già pronti a intervenire. La ragazza è stata messa in sicurezza in una località protetta e accolta da una rete di assistenza per donne vittime di violenza. È stata lei stessa a raccontare la lunga catena di vessazioni subite, confermate poi da ulteriori riscontri.
Una vicenda che apre squarci inquietanti sulla realtà, spesso sommersa, dei matrimoni forzati e delle pressioni culturali che, in nome della tradizione o del controllo familiare, finiscono per negare diritti fondamentali, a partire dalla libertà personale. E che, in questo caso, mostra anche l’efficacia di un sistema di protezione che ha saputo ascoltare, credere, intervenire. I genitori sono stati rintracciati nella loro abitazione di Rimini e posti agli arresti domiciliari. L’indagine è ancora in corso, ma la giovane, oggi, è al sicuro. «Questi fatti non possono né essere accettati né tantomeno tollerati» ha commentato il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che ha aggiunto «conosco molti cittadini appartenenti alle comunità bangladesi del territorio riminese e posso assicurare che sono persone splendide, ben integrate sia nella componente adulta che in quella giovanile e scolastica. Per questo sono certo che saranno loro per primi a prendere le distanze da simili fatti, davvero orrendi».
A emettere l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari è stato il giudice per le indagini preliminari Raffaele Deflorio, su richiesta della Procura della Repubblica di Rimini, che ha coordinato l’indagine attraverso il sostituto procuratore Davide Ercolani. La vicenda ha avuto anche risvolti internazionali, tanto che si è reso necessario l’intervento del ministero della Giustizia per attivare un procedimento penale, vista la parziale consumazione dei reati all’estero.
Tutto ha inizio lo scorso autunno. Secondo la ricostruzione degli investigatori, i due genitori – 55 anni il padre, 42 la madre – avrebbero convinto la figlia (arrivata a Rimini a 7 anni) a partire per il Bangladesh con il pretesto di una vacanza e di visite familiari. Una volta giunta nel Paese di origine, però, le sarebbero stati sottratti passaporto, documenti e carta di credito. È a quel punto che la giovane si sarebbe resa conto del vero motivo del viaggio: costringerla a sposare un connazionale, uomo ben più grande di lei e appartenente a una famiglia benestante, in un matrimonio già combinato da tempo. Le nozze sono state celebrate il 17 dicembre 2024, nonostante l’opposizione della ragazza.
La coercizione non si è fermata lì. Dopo il matrimonio, la giovane sarebbe stata sottoposta a un controllo continuo, privata della libertà e costretta ad assumere farmaci: sedativi e altri medicinali volti a favorire la fertilità. Un vero tentativo di piegare la sua volontà, di ridurla a uno strumento. È in quel contesto che la ragazza (innamorata di un ragazzo di Forlì) ha trovato l’unico varco possibile: far leva sul desiderio, espresso dai parenti del marito, di vederla presto madre. Fingendo una disponibilità in tal senso, è riuscita a convincere i genitori ad acconsentire a un temporaneo rientro in Italia, con la scusa di voler fare accertamenti medici. Atterrata all’aeroporto di Bologna nell’aprile scorso, la giovane ha immediatamente chiesto aiuto. Ad accoglierla c’erano i Carabinieri, allertati in precedenza e già pronti a intervenire. La ragazza è stata messa in sicurezza in una località protetta e accolta da una rete di assistenza per donne vittime di violenza. È stata lei stessa a raccontare la lunga catena di vessazioni subite, confermate poi da ulteriori riscontri.
Una vicenda che apre squarci inquietanti sulla realtà, spesso sommersa, dei matrimoni forzati e delle pressioni culturali che, in nome della tradizione o del controllo familiare, finiscono per negare diritti fondamentali, a partire dalla libertà personale. E che, in questo caso, mostra anche l’efficacia di un sistema di protezione che ha saputo ascoltare, credere, intervenire. I genitori sono stati rintracciati nella loro abitazione di Rimini e posti agli arresti domiciliari. L’indagine è ancora in corso, ma la giovane, oggi, è al sicuro. «Questi fatti non possono né essere accettati né tantomeno tollerati» ha commentato il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che ha aggiunto «conosco molti cittadini appartenenti alle comunità bangladesi del territorio riminese e posso assicurare che sono persone splendide, ben integrate sia nella componente adulta che in quella giovanile e scolastica. Per questo sono certo che saranno loro per primi a prendere le distanze da simili fatti, davvero orrendi».
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