C'è un allarme bullismo tra i giovani e gli stranieri sono i più presi di mira
di Redazione
Un adolescente su cinque dichiaradi essere rimasto vittima mentreil 68,5% sostiene di aver subito almeno un comportamento offensivo o violento (online o offline) nei 12 mesi precedenti

Il copione è sempre lo stesso: c’è una vittima e c’è un prepotente, anzi spesso più prepotenti, poi c’è il desiderio di prevalere, di affermare la propria superiorità, e di lì l’esclusione, l’offesa e la violenza. Aggrediti, prevaricati, vittimizzati, in Italia sono ancora molti i ragazzi che subiscono atti di bullismo e cyberbullismo. Lo conferma l’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale di statistica presentato ieri a Palazzo Chigi, alla presenza dei ministri Eugenia Roccella e Giuseppe Valditara e con il presidente dell'Istat Francesco Maria Chelli e la direttrice del Dipartimento per le Statistiche sociali e demografiche Cristina Freguja. Secondo il resoconto, il 68,5% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni ha dichiarato di essere rimasto vittima di almeno un comportamento offensivo nel corso del 2023, l’anno preso in esame dall’indagine.
Il report evidenzia anche che le principali vittime di bullismo sono i ragazzi di origine straniera: il 26,8% di loro dichiara, infatti, di aver subito atti vessatori «con una cadenza più che mensile». Lo spettro del razzismo colpisce dunque anche i più giovani e in particolare i ragazzi di nazionalità rumena e ucraina. Sempre i ragazzi stranieri sono più spesso vittime di cyberbullismo: si va dai messaggi offensivi alle foto umilianti generate con l’intelligenza artificiale. L’armamentario dei bulli oggi, con gli smartphone e i social, si è notevolmente ampliato, ma l’IA rappresenta l’ultima, terribile, frontiera.
Il resoconto evidenzia poi che i giovanissimi dagli 11 ai 13 anni sono più soggetti agli atti di bullismo rispetto ai ragazzi dai 14 anni in su. Quindi negli anni tra le scuole elementari e le scuole superiori, in quella fase instabile e confusa, a volte imbarazzante, in cui non si è più bambini ma non si è ancora adolescenti, la scorrettezza nei confronti dell’altro è una costante. Il 23,7% dei ragazzi delle medie racconta di aver dovuto combattere con i bulli, a dispetto del 19,8% dei giovani delle superiori.
C’è poi una distinzione di genere, perché il report evidenzia non solo che i maschi che dicono di avere subito atti di bullismo (il 21,5% del totale) sono di più delle femmine (il 20,5%), ma anche che le forme di violenza messe in atto differiscono. Se tra i ragazzi prevalgono soprattutto gli insulti, le offese e le aggressioni fisiche, tra le ragazze è più diffusa la pratica dell’esclusione. In questi casi non è tanto l’aggressione a distruggere psicologicamente le vittime, ma l’annullamento: la giovane bullizzata viene lasciata da sola, non inclusa nel gruppo, la sua identità e il suo stare al mondo non vengono riconosciuti.
Il fenomeno ha poi una geografia ben definita: secondo i dati, nel Nord Italia gli episodi di bullismo sono più frequenti rispetto al Sud. Nel Nord-ovest del Paese il 71% dei ragazzi dichiara infatti di aver subito bullismo, contro il 66,5% nel Mezzogiorno. Nel settentrione sono anche più frequenti gli episodi subiti con continuità: questi ragazzi dichiarano di essere stati bullizzati più volte in un anno o anche più volte al mese o alla settimana.
Secondo la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, «non è un caso che nel Sud ci sia un po' meno la tendenza al bullismo, perché probabilmente ancora resistono le reti parentali». Per la ministra i nuovi, allarmanti, dati sono il segno della scomparsa di una «rete parentale educante e protettiva». Roccella sostiene che bisogna smettere di sottrarre competenze alla famiglia per spostare tutto sulla scuola: «Invece è fondamentale un’alleanza scuola-famiglia, non un trasferimento di competenze esclusivamente alla scuola, lasciando la famiglia sguarnita anche di responsabilità». Per la ministra è dunque necessario aumentare la consapevolezza «delle famiglie nei confronti di quello che accade, e la consapevolezza per quanto riguarda le pene».
Secondo il ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, l’unica vera soluzione è incentivare “la cultura del rispetto”: «Non è un caso che abbiamo proposto ai giovani, in occasione dell'ultimo esame di Stato, una traccia legata proprio al tema del rispetto e mi fa molto piacere che sia stata la più gettonata». Sul problema del cyberbullismo e dell’uso scorretto degli smartphone, il ministro ha sottolineato anche che «è il cellulare che stimola l’aggressività», e che proprio per questo motivo attualmente «c'è un disegno di legge in Parlamento che va nella giusta direzione di limitare ai minori di 15 anni l'utilizzo dei social». Valditara ha spiegato poi che ad oggi «la quasi totalità delle scuole ha avviato percorsi di educazione civica, e di educazione alle relazioni».
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