«Cancelliamo i nostri profili social»: ecco la ribellione dei giovani
di Stefania Garassini
Numerosi gruppi anche negli Stati Uniti stanno chiedendo ai giganti dei social e alle istituzioni di introdurre seri metodi di verifica dell’età e regole per rendere più sano l’uso dei social media. Le proposte di legge in Italia

Il 10 ottobre scorso nel parco di Tompkins Square a New York si è tenuto un evento singolare, il NYC Delete Day, una cerimonia collettiva in cui ai partecipanti era chiesto di cancellare (Delete) uno dei propri profili sui social media, e di farlo tutti insieme, nello stesso momento. L’iniziativa partiva dal movimento “Time to refuse” (“Il momento di rifiutare”), composto da esponenti della generazione Z (i nati tra il 1996 e il 2012) uno dei numerosi gruppi di giovani che negli Stati Uniti stanno chiedendo con forza ai giganti dei social e alle istituzioni di introdurre seri metodi di verifica dell’età e regole per rendere più sano e sostenibile l’uso dei social media. Per molti di loro, la prima generazione ad aver affrontato la pubertà immersi nei social media, è ormai andata. E non è andata bene. Impressiona leggere le ragioni elencate nel Manifesto diffuso in occasione dell’evento newyorkese. «Siamo inciampati in questo mondo senza limiti di età, senza guardrail, con pochissime protezioni – si legge nel documento –. E la maggior parte dei giovani adulti con cui parliamo reagiscono inorriditi al pensiero che lo stesso possa accadere ai loro futuri figli: guardare porno violento da preadolescenti, proporsi online come oggetti, anche solo postare selfie per essere classificati e recensiti da estranei». Si tratta di un’analisi lucida, che fornisce un ritratto molto più vero di tante dotte disquisizioni di esperti, all’apparenza impegnati a sottovalutare la portata del problema. È innegabile che i social media abbiano anche aspetti positivi e che non siano i soli responsabili del crescente disagio giovanile. Va però ancora trovato il modo di valorizzarne a pieno il potenziale. Mentre sono sempre più chiari gli aspetti critici, come confermato anche nel settembre scorso dagli sconcertanti dati di un sondaggio pubblicato sul New York Times secondo i quali il 47% dei teenager interpellati avrebbe preferito se TikTok non fosse mai esistito. In percentuali lievemente inferiori lo stesso valeva per Instagram (34%), Snapchat (43%) e Facebook (37%).
Se ci servono altre ragioni per deciderci ad appoggiare con decisione un’iniziativa legislativa che regolamenti l’accesso ai social da parte dei minori, basta ascoltare la voce dei giovani che si stanno dolorosamente rendendo conto di aver perso una parte della propria infanzia. Sono loro a chiederci con insistenza di fare qualcosa per cambiare la situazione. Ed è proprio a loro che ci invita a guardare la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Marina Terragni, nella sua relazione al Senato relativa al disegno di legge n. 1136, (Disposizioni per la tutela dei minori nella dimensione digitale) che propone il divieto di accesso ai social sotto i 15 anni, con l’obbligo di efficace verifica dell’età da parte delle piattaforme. Si tratta di un’iniziativa legislativa bipartisan, promossa in Senato da Lavinia Mennuni, di Fratelli d’Italia, e con analoga formulazione (proposta di legge 1863), alla Camera da Marianna Madia, Partito Democratico. Un provvedimento chiesto anche dal Consiglio europeo nella seduta del 23 ottobre, nella quale si ribadiva la necessità «di tutelare i minori, anche attraverso una maggiore età digitale per l’accesso ai social media, nel rispetto delle competenze nazionali». È la direzione verso cui si sta andando peraltro in diversi Paesi europei, come Francia, Spagna, Regno Unito, Grecia, Danimarca e Norvegia e, con scelte coraggiose, anche fuori dall’Europa: ricordiamo l’ambiziosa legge australiana che dalla fine di quest’anno vieterà l’apertura di un profilo social sotto i 16 anni.
Nella documentata e approfondita analisi del Garante si evidenziano i necessari passi che dovrebbero seguire l’entrata in vigore di un simile provvedimento. Il primo è una maggiore consapevolezza da parte del mondo adulto, che non è certo un esempio edificante quanto all’uso di smartphone e social. È essenziale che ci siano iniziative di pressione per favorire un cambio di abitudini, con l’obiettivo di rimettere al centro le interazioni faccia a faccia, all’interno della famiglia e in tutti gli altri ambienti di socializzazione. L’uso dello smartphone entra spesso a gamba tesa a interrompere e rendere più faticose le relazioni. Dobbiamo fermarlo.
La necessaria approvazione della legge, che auspichiamo possa avvenire presto, dovrà essere accompagnata dall’attivarsi di una vera alleanza fra tutti gli attori di quel “Villaggio” che è essenziale per educare. Un buon modello è quello dei Patti Digitali, che riuniscono i genitori impegnati a darsi insieme delle regole per l’educazione digitale dei propri figli, in collaborazione con scuole, istituzioni, oratori e altre realtà educative. È una chiamata alla responsabilità per il mondo adulto. L’unico oggi in grado di rispondere all’appello accorato dei giovani, che loro malgrado sono stati la cavia di un colossale esperimento sociale, purtroppo in gran parte rivelatosi fallimentare. Ma una cosa si può fare: proporre una versione migliore di Internet alle generazioni che verranno.
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