venerdì 23 febbraio 2018
Dal sindaco Virginia Raggi il marito e la figlia della cristiana condannata a morte in Pakistan. E Rebecca Bitrus, che ha saputo perdonare i suoi rapitori di Boko Haram
La figlia di Asia Bibi e Rebecca Bitrus con il sindaco Virginai Raggi (Ansa)

La figlia di Asia Bibi e Rebecca Bitrus con il sindaco Virginai Raggi (Ansa)

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Condannati a morte, rapiti, violentati. All’inizio del XXI secolo ci sono ancora paesi in cui professarsi cristiani è da eroi. Dalla Nigeria e dal Pakistan arrivano a Roma tre testimoni delle persecuzioni, per alzare il velo dell’indifferenza che rischia di nascondere questa tragedia. Rebecca Bitrus, nigeriana cristiana di 28 anni, rapita e in ostaggio per due anni di Boko Haram; Ashiq Masih e Eisham Ashiq, marito e figlia minore di Asia Bibi, la donna pachistana da 3.164 giorni in carcere, condannata a morte per blasfemia. A portarli in Italia è Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs).

Il direttore di Acs Italia, Alessandro Monteduro, li ha accompagnati ieri dalla sindaca di Roma Virginia Raggi e domani mattina li porterà da papa Francesco per un’udienza privata. Nel pomeriggio saranno i testimoni della manifestazione al Colosseo, che per l’occasione sarà illuminato di rosso. Con loro interverranno anche il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa sede; il cardinale Mauro Piacenza, presidente internazionale di Acs, il vescovo segretario generale della Cei Nunzio Galantino e il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani.

La sindaca Raggi incontra in Campidoglio, nella sala dell’Arazzo, i familiari di Asia Bibi e la donna nigeriana, accompagnata dal connazionale padre Innocent Zambua. Ascolta le loro testimonianze drammatiche ed esprime la sua solidarietà: «Sono storie inconcepibili e inaccettabili. Dobbiamo mantenere alta l’attenzione, squarciare il velo dell’indifferenza. Oggi riceviamo troppe informazioni e così queste vicende rischiano di finire nel tritacarne, nonostante riguardino i diritti delle persone». Soprattutto «dobbiamo restare al fianco di queste donne coraggio».

Con i familiari di Asia Bibi c’è anche Shaid Mobeen, fondatore dell’associazione dei pachistani cristiani in Italia, che propone alla sindaca un segno visibile della solidarietà della Capitale: esporre sul Campidoglio una gigantografia di Asia Bibi, come già nel 2010. «Ci lavoriamo», promette Raggi.

Grande la gioia dei tre testimoni per l’incontro con il Papa. «Sono molto contenta – dice Rebecca Bitrus – al Papa racconterò la mia storia, le nostre difficoltà ma anche gli sforzi che sta facendo la Chiesa sulla via del dialogo e della pacificazione». Rebecca fu rapita nel 2014 dai terroristi di Boko Haram assieme ai due figli di uno e due anni. È rimasta incinta dopo essere stata violentata. Il figlio più piccolo fu affogato dopo il suo "no" a ripudiare il cristianesimo. L’altro fu venduto a una famiglia. Ha perso alcuni denti perché picchiata con un fucile. Dopo la liberazione ha recuperato il figlio e ha tenuto quello frutto delle violenze. Lo ha chiamato Cristoforo. Non serba rancore: «Ho perdonato, completamente, dal profondo del cuore».

I familiari di Asia attendono che la Corte suprema si pronunci sul ricorso contro la condanna. «Il tempo giuridico in Pakistan – dice Ashiq Masih, 52 anni – è un concetto relativo: se si vuole, tutto viene risolto in fretta, altrimenti i tempi sono molto lunghi. Se mia moglie è ancora viva è grazie all’attenzione della comunità internazionale». Pressioni che hanno anche attenuato il rigore della carcerazione: «All’inizio era una condizione molto precaria – racconta l’uomo – anche per le minacce che riceveva, poi la visibilità del caso le ha fatto ottenere una cella singola videosorvegliata, dove può anche cucinare».

Dei suoi 18 anni, Eisham ne ha passati con la mamma solo la metà. «Mi sento incompleta, mio padre è eccezionale, ma ci sono cose che una ragazza confida solo alla mamma. Chiedo a tutti di pregare perché torni con noi». «Siamo enormemente felici di incontrare il papa Padre – aggiunge Ashiq Masih, 52 anni – e chiederemo la sua benedizione. Pregando con lui saremo uniti a Gesù». «E se si può vorrei dargli un bacio – aggiunge Eisham – da parte della mamma e delle sorelle».



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