sabato 3 luglio 2021
Nel fascicolo della procura anche l’esposto dei legali di Sea Watch. Saranno ascoltati i sopravvissuti all’aggressione, sbarcati a Lampedusa
Colpi di mitraglia dalla motovedetta libica verso il barcone con una quarantina di migranti a bordo, poi i tentativi di speronamento col rischio che le persone finiscano in acqua in alto mare. Sono le drammatiche immagini che si vedono nel video diffuso da Sea watch che ieri aveva dato la notizia degli spari contro i migranti in area Sar maltese, 1 luglio 2021.

Colpi di mitraglia dalla motovedetta libica verso il barcone con una quarantina di migranti a bordo, poi i tentativi di speronamento col rischio che le persone finiscano in acqua in alto mare. Sono le drammatiche immagini che si vedono nel video diffuso da Sea watch che ieri aveva dato la notizia degli spari contro i migranti in area Sar maltese, 1 luglio 2021. - Ansa / Sea Watch Italy

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Hanno sparato e tentato di speronare in acque internazionali, ma l’arrivo a Lampedusa dei migranti scampati all’aggressione della motovedetta libica ha fatto aprire un’inchiesta sulla mancata strage in mare aperto. La procura di Agrigento, che da subito aveva monitorato l’episodio, dopo avere ricevuto un esposto da Sea Watch dovrà ora accertare la dinamica della fallita cattura dei migranti.

Un’inchiesta che si preannuncia tutta in salita, quella coordinata dal procuratore Luigi Patronaggio. Tra Italia e Libia, infatti, non vi sono patti di cooperazione giudiziaria e difficilmente Tripoli consegnerà i nomi degli ufficiali a bordo della motovedetta fornita dall’Italia né le testimonianze dei guardacoste a presenti a bordo.

Fino ad ora le autorità del Paese nordafricano non hanno mai cooperato nelle inchieste per le violazioni dei diritti umani, offrendo così un riparo a trafficanti di uomini e torturatori. Lo scorso anno proprio un’inchiesta di Agrigento aveva permesso di identificare e far condannare a 20 anni di carcere ciascuno tre torturatori del campo di prigionia ufficiale di Zawyah, diretto dal clan al-Nasr. Uno dei principali esponenti della cosca è il comandante Abdurahman al Milad, quel Bija rilasciato senza processo dopo una detenzione farsa di sei mesi e promosso al grado di maggiore della Marina militare.

Nel fascicolo di Agrigento si trovano la denuncia redatta dal legale di Sea Watch, Leonardo Marino, con i filmati integrali girati a bordo di Seabird, il pattugliatore aereo dell’Ong tedesca, la ricostruzione di Avvenire e i tracciati aerei e navali elaborati dal giornalista di Radio Radicale, Sergio Scandura.

E per la prima volta anche la Guardia Costiera libica ha aperto un’indagine interna dopo che la sua motovedetta ha sparato alcuni colpi verso un barcone con circa 50 migranti e rischiato più volte lo speronamento. In una insolita nota la Marina libica afferma di aver deciso di investigare dopo aver esaminato le immagini in cui si vede la motovedetta che insegue i migranti "mettendo in pericolo le loro vite, così come quelle dei membri dell’equipaggio della motovedetta stessa, in quanto non sono state seguite le misure di sicurezza e sono stati utilizzati anche dei colpi di avvertimento".

In soccorso di Tripoli arriva Malta che parla di operazione “adeguata alle circostanze”. Alla stampa locale la Marina de La Valletta ha spiegato che “in questi casi sono permessi i colpi di avvertimento”. Versione contraddetta però dalla nota delle autorità di Tripoli che parlano di "mancanza di un giusto comportamento".

I guardacoste libici si sono allontanati per oltre 110 miglia dal porto di Tripoli e sono arrivati a sole 45 miglia da Lampedusa, a poca distanza dall’area di ricerca e soccorso italiana. Non era mai successo che una motovedetta tripolina si spingesse così a Nord per inseguire dei migranti, lasciando però che altri barconi raggiungessero indisturbati Lampedusa. Una decisione costata almeno 8 ore di navigazione. «Abbiamo visto il video e stiamo verificando le circostanze ad esso legate. Sicuramente chiederemo spiegazioni ai nostri partner libici», ha detto Peter Stano, portavoce della Commissione europea.

La notizia dell’indagine di Agrigento e di quella di Tripoli arriva a pochi giorni dal voto italiano per il rifinanziamento delle missioni in Libia, che prevede il sostegno diretto ai guardacoste con la permanenza a Tripoli di una nave officina della Marina militare italiana incaricata di svolgere, a spese dell’Italia, la manutenzione delle motovedette libiche donate dal nostro Paese.
La Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra per i Diritti dell’Uomo e, come ha ricordato di nuovo ieri l’Onu, il Paese non è riconosciuto come “luogo sicuro di sbarco” e perciò riportare a terra i migranti, destinati ai campi di prigionia, costituisce una violazione che però in Libia non è perseguibile.

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