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Ultima stazione, una Milano invisibile

Marina Corradi giovedì 14 settembre 2023
Settembre, Milano. Una notte al Pronto soccorso. Capita, di farsi male. L’ospedale è sovraccarico ma regge: lastre, esami, diagnosi. Poi resti su una barella ad aspettare l’alba, quando tornerai a casa. Accanto a te in astanteria, nella penombra di luci basse, gemiti, voci. Gli infermieri corrono. I medici, pochi e affannati, quasi tutti molto giovani. E sono appena le quattro. Quanto, senza ritegno, si dilata il tempo, in ospedale. Accanto a me c’è la signora Adele. 84 anni, i capelli bianchi discinti sulle spalle, gli occhi azzurri. Dice che è vedova, che ha una figlia, e nipoti. Vive sola, e se la cava. Ma l’altra notte qualcosa l’ha spaventata. Allora ha chiamato il 118, e l’hanno portata qui. «Cosa l’ha spaventata?», domandi. Adele non risponde. Lo sguardo le si è fatto assente, come fosse entrata in una fitta nebbia. Poi, si riprende. Chiama l’infermiera: «Sto bene, voglio tornare a casa!». Quella la tranquillizza: «Domattina, signora, domattina». «Me l’avete già detto ieri!», protesta lei, arrabbiata. Ora irrequieta si alza, cerca un medico, quasi cade a terra. La riportano a letto, con gentilezza le mettono una pettorina gialla. «Paziente agitata», immagino voglia dire. «Voglio andare a casa!», protesta lei, quasi grida. Le dico che domattina di certo verranno a prenderla. Scuote la testa: «Mia figlia, l’unica, vuole mandarmi in ospizio. Quando vede il mio numero, non risponde. Ho una nipote però, Angela, che mi vuole bene. Può chiamarla, lei che ha il cellulare?». Chiamo. Segreteria telefonica, lascio un messaggio. Adele coi suoi grandi occhi chiari insiste: «Chiami mia figlia. Magari a lei risponde». Ma il telefono squilla a vuoto. Adele quasi piange. Come se il cuore ti cadesse per terra, in una notte in un ospedale di Milano, vedendo chiara l’ultima stazione. Quella che attende molti vecchi di una città senza abbastanza figli. Alle otto, ora di dimissioni, senti le giovani dottoresse ripetere a diversi pazienti la stessa domanda: «Ma lei ha qualcuno che la aiuta? Come faccio a rimandarla a casa, se non sta bene ed è solo?». Qualcuno assicura di avere una badante. Chissà se è vero. Vogliono tornare a casa, comunque, vogliono tornare nell’unico pezzo di mondo che gli resta: le fotografie, i cassetti, le vecchie cose care. Nella Milano del Quadrilatero, degli 8.000 euro al metro quadro, cresce il doloroso bisogno dei vecchi soli. Se non ci sono affetti, la differenza la fanno i soldi: chi può ha la badante, e gli altri? Se va bene, una dignitosa casa di riposo – dove magari, purtroppo, l’impianto antincendio è fuori uso. Sembrano vuoti a perdere questi ottantenni, gli ultimi figli della guerra che non si sa dove mettere. E fra poco, i primi baby boomers? Ma sono così blu e vivi gli occhi di Adele che nel suo viso cerchi, e quasi trovi, la fanciulla che è stata. Fa male, vederla così smarrita. Perché è stata una ragazza come lo eri tu, e perché capisci che quest’ultima stazione riguarderà molti. Io ho figli, ti dici a rassicurarti. Però, pensi, ci sono figli che alla madre demente smettono di rispondere. Via da quest’ombra, voglio andarmene. La dottoressa firma: non sono così vecchia, e c’è mio marito a prendermi. Adele mi guarda andare con uno sguardo da naufraga: «Chiami ancora mia nipote, per favore». Fuori il cielo azzurro e un gran sole, la dolce aria di settembre. Richiamo la nipote, ora risponde. Spiega, gentile, che la zia soffre di demenza, che devono ricoverarla, per forza. E sono passati giorni, e continuo a pensare a quegli occhi. Doveva essere bella da giovane Adele, chissà quanti la guardavano. E ora, nessuno. E quanti come lei? In auto poi, verso casa. Le torri di City Life scintillano, ma non sono certa che siano ancora la città in cui sono nata. Ho conosciuto invece stanotte una Milano quasi invisibile, come naufraga. Non se ne parla molto. (La solitudine, come spesso accade, è muta). © riproduzione riservata