Opinioni

Il Covid, i medici, le ragionevoli cure. Sul confine si vede chiaro

Assuntina Morresi sabato 8 gennaio 2022

La bioetica continua a essere il convitato di pietra di questa emergenza pandemica, e come ogni ospite incombente ma invisibile ci si accorge di lei solo se si osserva attentamente ciò che accade. Stanno infatti emergendo esigenze e dilemmi impensabili fino a un paio di anni fa, mettendo alla prova un sistema di pensiero che molti ritenevano ormai consolidato, ma che adesso fa fatica a trovare soluzioni.

Indicativo a riguardo un recente documento della Siaarti – Società italiana anestesia analgesia, rianimazione e terapia intensiva – su «Pandemia e rifiuto di trattamenti di supporto vitale», di cui i lettori di 'Avvenire' hanno potuto leggere nei giorni scorsi. Lo scritto tratta del rifiuto delle cure e dei sostegni vitali da parte di alcuni malati gravi di Covid-19. Il fatto stesso che si sia sentita la necessità di elaborare un testo in questo ambito è significativo: da anni si concorda sul fatto che a fronte di un consenso libero e informato i medici non possono fare altro che rispettare le volontà di chi rifiuta sostegno, compresi i salvavita, accompagnando comunque il paziente nel migliore dei modi possibili, anche con la palliazione. E infatti il documento conferma questo orientamento, specificando che lo scopo è «richiamare alcuni elementi di carattere generale riguardanti il consenso alle cure e il relativo percorso decisionale». Ma perché ripetere l’ovvio?

Perché i medici riconoscono che questo rifiuto a curarsi è problematico, e li costringe ad agire contrariamente a tutto quello che hanno imparato per diventare, appunto, medici. Il documento è attento e rispettoso verso tutti, senza giudicare nessuno. I medici però, al tempo stesso, riportano le parole di un recente rapporto Censis che a proposito dell’attuale contesto sociale pandemico dice di «un’irragionevole disponibilità a credere alle più improbabili fantasticherie, a ipotesi surreali e a teorie infondate, a cantonate e strafalcioni, a svarioni complottisti, in un’onda di irrazionalità che risale dal profondo della società». Il riferimento è all’arcipelago no-vax e negazionista che, in tutte le sue articolazioni e sfumature, è la vera novità di quest’anno: non tanto di per sé – i no vax nascono insieme alle vaccinazioni – ma sicuramente per le problematiche che queste convinzioni pongono. E i no-vax contribuiscono a spezzare il fil rouge della bioetica di questi ultimi decenni: il principio di autodeterminazione individuale, il cuore delle ultime leggi e sentenze su rifiuto delle cure e fine vita, dalla Legge 219 al pronunciamento della Consulta sul suicidio assistito, e di due proposte referendarie.

La Siaarti non fa menzione delle conseguenze delle scelte negazioniste nella salute pubblica – tanti letti occupati da malati che potevano evitare di esserlo, almeno in modo grave – ma parla solamente del rapporto medico-paziente e del consenso informato, strumenti preziosi e da usare ragionevolmente ma oggi piegati all’affermazione, culturale e legale, di un’autodeterminazione individuale portata all’estremo.

La Siaarti, cioè, entra nel merito delle scelte individuali: nel documento vengono di fatto chiamate in causa le motivazioni del rifiuto delle cure, tanto che si mette nero su bianco l’importanza di «una ragionevole insistenza» nello spiegare e motivare i «trattamenti di supporto vitale (ivi compresa, se clinicamente appropriata, la ventilazione invasiva) », invocando la «tensione per offrire chance di vita e di salute, sempre orientata a valutare con attenzione la proporzionalità delle cure», da parte dei sanitari, che non possono semplicemente operare una «presa d’atto» delle volontà del paziente.

Soprattutto si rivendica l’«aspetto gravoso e doloroso per i medici e gli infermieri» di questa situazione. Inevitabile a questo punto una domanda: perché tali problemi dovrebbero riguardare solo i no-vax, che tra l’altro rivendicano di essere liberi e informati? Siamo sicuri che altri malati che rifiutano le cure o addirittura chiedono di morire lo facciano in modo perfettamente libero e consapevole e autodeterminato? Non deve valere per tutti la «ragionevole insistenza» nell’offrire una chance di vita? Forse, persino inconsapevolmente, qualche nodo di una certa bioetica sta venendo al pettine. Sul confine tra vita e morte, tra buona scienza e arroganze anche crudeli, il Covid ci aiuta a capire che di tutto c’è bisogno meno che di paraocchi.