Opinioni

Analisi. Streaming e vinile, gli estremi che rivoluzionano la musica

Gigio Rancilio giovedì 12 gennaio 2017

Questa è una storia di numeri, di previsioni sbagliate, di mode e di nostalgie. Ma soprattutto è una storia che racconta molto bene il periodo che stiamo vivendo. Perché lo strumento che scegliamo per ascoltare la musica spiega e cataloga non soltanto i nostri gusti ma anche il nostro modo di vivere. Fino a qualche anno fa, l’evoluzione tecnologica nel modo di ascoltare la musica sembrava la filastrocca de La fiera dell’Est, con l’arrivo in scena, man mano, di un attore sempre più forte (e in questo caso, tecnologicamente più evoluto) che distrugge il precedente.

Così, se all’inizio c’erano i cilindri di cera, poi sono arrivati i 78 giri, i 33 giri, i compact disc, gli Mp3 venduti da servizi come iTunes e infine la musica in streaming con servizi come Spotify, Deezer e Apple Music. Da oggetto da possedere gelosamente, esibendo orgogliosi agli amici la vastità della propria discoteca e organizzando sedute collettive attorno al giradischi per godersi nel silenzio più assoluto l’ultima novità, negli anni la musica è diventata un «non oggetto» da usare e da consumare da soli e con le cuffiette ben piantate nelle orecchie, anche quando ci si trova in mezzo agli altri, sul tram o per strada.

Un bene da «noleggiare» da servizi come Spotify, Deezer e Apple Music (con canoni mensili o dietro il «pagamento» di pubblicità da vedere). Il tutto senza occupare spazio né in casa (ricordate le librerie colme di album o di compact disc?) né nella memoria dei nostri cellulari. Una scelta che, ogni giorno, fanno nel mondo circa 736 milioni di persone. Cento milioni attraverso Spotify (di cui 40 milioni a pagamento), 20 milioni con Apple Music e 16 milioni con Deezer (6 milioni paganti). Ma la vera sorpresa arriva da un altro dato. Secondo la ricerca commissionata da Google a Kantar TNS, oltre la metà degli utilizzatori di YouTube (56%), usa il più grande servizio di video streaming del mondo per ascoltare musica. Stiamo parlando di 560milioni di persone.

In Italia, secondo Fimi, la Federazione delle industrie musicali italiane, ben l’89% di chi usa YouTube lo fa per ascoltare musica. Il rapporto sui Consumatori di musica rivela che il 40% di chi ascolta musica lo fa invece con un servizio tipo Spotify, ma solo il 20% lo paga abbonandosi e il 32% (che sale al 45% nella fascia d’età 16-24 anni) usa i servizi streaming per piratare musica. Insomma, la maggior parte di noi non solo non acquista più musica, ma la ascolta senza volerla possedere. Come un bicchiere d’acqua da bere per togliersi la sete e da dimenticare un attimo dopo. Secondo gli ultimi dati di mercato, ormai la musica «liquida» ha superato anche in Italia il mercato del prodotto fisico rappresentato dal Cd e dal vinile, attestandosi al 51% del mercato (con la quota dello streaming che da sola vale il 40%, con una crescita nell’ultimo anno del 51%). Calano invece i download, cioè i file musicali scaricati a pagamento, segno ulteriore che a sempre meno utenti interessa «possedere» la musica. Ma è davvero così? In larga misura sì, anche se all’orizzonte si è affacciato da qualche tempo un supporto che veniva dato per estinto. Stiamo parlando del vinile. Dei vecchi album a 33 giri (e dei singoli a 45 giri). Certo, il 1978 – quando il vinile toccò i vertici del successo vendendo in un anno quasi un miliardo di pezzi – è lontano.

Ma dal 2007 il mercato del vinile ha ricominciato – prima piano piano e poi sempre più velocemente – a crescere. Oggi, secondo la Federazione delle industrie musicali le vendite di dischi in vinile valgono il 5% del mercato discografico italiano. Con una crescita del 74% rispetto all’anno precedente. A dimostrazione della nuova vitalità globale di questo antico supporto, in Inghilterra il mercato del vinile ha superato come fatturato i download di musica digitale. I vecchi 33 giri hanno incassato 2,4 milioni di sterline contro i 2,1 milioni della musica digitale scaricata. Nel 2015 gli album in vinile si erano fermati a 1,2 milioni di sterline mentre gli acquisti di brani digitali avevano fatturato 4,4 milioni. La Entertainment Retailers Association (Era) che rappresenta 7.000 negozi (anche on line) che vendono musica, video e videogiochi ha stimato che «nel 2016 in Inghilterra saranno venduti 3 milioni di album di vinile». In America invece, secondo i dati diffusi da Nielsen, si vendono circa 8 milioni di 33 giri all’anno.

A contare, più che i numeri effettivi dei pezzi venduti, è il fatturato. Nel 2015 il mercato mondiale del vinile ha incassato 416 milioni di dollari. Ogni 33 giri viene infatti venduto (quasi) al doppio dello stesso album in compact disc. Prendete Dark side of the moon, uno dei titoli dei Pink Floyd che da sempre è al vertice delle classifiche: il cd si trova in vendita mediamente a 9,90 euro, la versione in vinile a 21,90. Per non parlare delle cosiddette tirature speciali: l’ultimo lavoro di Tiziano Ferro è disponibile in 1.000 pezzi numerati in vinile blu venduti a 90 euro l’uno. Per la serie: vendi un album ed è come se vendessi 5,6 compact disc. È vero che stampare un 33 giri in vinile costa fino a 7 euro contro i 3 di un compact disc, ma il margine resta alto.

Molto alto. Lo sa bene Amazon che ha aperto una sezione del più grande negozio on line del mondo dedicata ai dischi in vinile. In catalogo ci sono quasi 20mila titoli, di ogni genere. Molti dei quali in edizione speciale o a tiratura limitata. Con prezzi che vanno dai 20 euro a qualche migliaia. L’album di Natale di Phil Spector, per esempio, è "in offerta" a 2.800 euro. I nove album con l’intera discografia di Rino Gaetano si trovano a 199 euro, mentre per marzo è annunciato un cofanetto speciale con 8 album in vinile di Lucio Battisti già prenotabile al prezzo speciale di 99,90 euro. All’orizzonte c’è persino una rivoluzione tecnologica: il vinile Hd, cioè in «alta definizione». L’azienda austriaca Rebeat ha brevettato un nuovo sistema per la produzione dei dischi in vinile in alta definizione, sfruttando le moderne tecnologie 3D. In questo modo si otterrebbero dischi con un suono più definito e una gamma dinamica più ampia e al tempo stesso una riduzione del 50% sui costi di produzione.

A trainare il rilancio del vinile non sono solo i nostalgici ormai ultracinquantenni che erano ragazzi negli anni Settanta, ma anche molti ragazzi che, un po’ per moda, un po’ per vera passione stanno riscoprendo il valore di ascoltare la musica attraverso i dischi a 33 giri. E i ricavi? Se il mercato del vinile è una nicchia (ricchissima) che pesa per il 5% e quello dei compact disc è sempre più in crisi, l’unica via di salvezza per la musica è il mercato dello streaming. Per capirci: Spotify, per esempio, nel 2015 ha pagato alla discografia 2 miliardi di dollari di diritti, equivalenti a circa 18 dollari a utilizzatore. YouTube invece ha versato al settore musicale 1 miliardo di dollari di diritti: sembrano tanti, ma per i discografici non è così. Sia Frances Moore, Ceo di Ifpi (l’associazione internazionale dei discografici) sia Enzo Mazza, Ceo di Fimi, hanno sottolineato che «la remunerazione agli aventi diritto è assolutamente inaccettabile se confrontata con altri servizi streaming». Se infatti YouTube avesse pagato in proporzione quanto Spotify, i discografici non avrebbero incassato «solo» 1 miliardo di dollari, ma oltre 10 miliardi. Insomma, il mondo musicale si sta dividendo in due. Da una parte c’è lo streaming musicale che vince perché è «più comodo», «più veloce», «più smart». Dall’altra c’è il vinile con i suoi «adepti», i suoni più «caldi» e un’esperienza d’ascolto di maggior valore, di «rito» da condividere. Facendo un paragone col mondo del cibo, lo streaming è il fast food, mente il vinile è lo slow food; una sorta di ritorno alle origini che non è solo nostalgia.