Opinioni

Le Linee guida per la riapertura delle classi. Scuola, non ospedale. Una vera comunità

Daniele Novara domenica 28 giugno 2020

Dopo esser state viste e riviste, sono dunque uscite le Linee guida definitive per la riapertura delle scuole a settembre dopo l’accordo raggiunto dal Governo con le Regioni. E appare ormai chiaro che è impossibile aspettarsi dal Ministero dell’Istruzione indicazioni chiare, tassative e inequivocabili. Gran parte dell’organizzazione del nuovo anno scolastico grava sui singoli territori e sulle singole scuole. I Dirigenti scolastici dovranno farsene una ragione e utilizzare la legge sull’autonomia scolastica al meglio possibile.

In una prima bozza, si legge che si valorizzano le forme di flessibilità derivanti dall’autonomia scolastica. Tra le soluzioni che ogni scuola potrà adottare:

Tra le soluzioni che ogni scuola potrà adottare ci sono queste sei: 1) riconfigurare il gruppo classe in più gruppi di apprendimento; 2) articolare gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso; 3) organizzare una frequenza scolastica in turni differenziati;

4) per la secondaria di II grado, permettere una fruizione per gli studenti di attività didattica in presenza e didattica digitale integrata, ove le opportunità tecnologiche e le competenze degli studenti lo consentano; 5) aggregare le discipline in aree e ambiti disciplinari; 6) diversificare la modulazione settimanale del tempo scuola.

In questo nuovo Documento si nota un ridimensionamento della famosa e famigerata Dad (Didattica a distanza) e anche un tentativo – davvero molto timido – di ridurre l’impatto delle mascherine perlomeno dalla Primaria: entro il 31 agosto il Cts (Comitato tecnico scientifico) darà un nuovo parere al proposito. Peccato sia una commissione senza esperti di area psicoevolutiva e scolastica.

Ancora una volta comunque l’accento principale viene posto al distanziamento degli alunni, con effetti anche grotteschi. Dovranno infatti collocarsi a un metro uno dall’altro, misurandolo dalle "rime buccali" cioè tra le bocche. Ai posteri l’ardua sentenza sulla reale possibilità di effettuare questa misurazione, ma intanto si perpetua il tema, ormai smentitissimo da tante ricerche scientifiche, che i bambini e i ragazzi siano gli "untori" del virus e che vadano tenuti drasticamente sotto controllo.

Se non si risolve tale equivoco appare impossibile considerare adeguatamente le condizioni educative e psicopedagogiche del fare scuola, come se l’unica attenzione fosse alla patologia, alla virologia e, ancora una volta, a tutte le condizioni di sicurezza. Sono aspetti importanti, ma da soli non bastano perché la scuola è un’esperienza, è una comunità. Per riaprire bisogna fare in modo che le scuole siano scuole, non degli ospedali, garantendo che possano fare ciò che hanno sempre fatto. Non è legittimo chiedere misure drastiche sul distanziamento o sulle mascherine. Ve li immaginate i "remigini" in Prima Elementare tutti con il viso coperto, compresa la maestra? Che paura! Il primo giorno di scuola perde la sua magia. E risulta anche inutile continuare a chiedere centinaia di migliaia di nuovi insegnanti che in Italia, com’è noto a tutti gli addetti ai lavori, non ci sono proprio. Così come sostituire alle classi pollaio nientemeno che le classi bonsai magari con gruppi di 8/10 alunni, abbattendo quell’indice di interazione sociale assolutamente necessario per una didattica attiva e laboratoriale.

Bambini e ragazzi raramente sono aggrediti dal Covid-19 e quando succede non si ammalano nelle forme drammatiche degli adulti. L’igienizzazione personale, la sanificazione degli ambienti e la misurazione della temperatura corporea appaiono procedure sufficienti. Non serve altro.

Gli equivoci in queste Linee guida abbondano, e la causa è anche il fatto che, ormai da 30 anni, in Italia – a differenza del resto del mondo – la pedagogia è stata abbandonata. Si chiede il parere del giurista, dell’amministrativo o del virologo, dell’economista o dell’informatico, dimenticandosi che la scienza dell’apprendimento, della scuola e dell’educazione è la pedagogia.

Siamo nel 150° della nascita di Maria Montessori: sarebbe il caso che qualcuno, in Italia, si ricordasse che la più grande pedagogista mai vissuta era italiana. Cercare di utilizzare questa scienza operativa così importante nel momento in cui si crea un’emergenza davvero grave come quella che stiamo (forse) lasciando alle spalle sarebbe il modo migliore per renderle finalmente una memoria adeguata. Invece, ci ritroviamo a dover riaprire le scuole in condizioni emotive molto precarie. Ma non possiamo sostenere la paura, dobbiamo sostenere il coraggio, dobbiamo sostenere la scuola come esperienza di sviluppo, di apprendimento e di comunità.

Pedagogista