Opinioni

Il rapporto . Migranti, un destino di morte lungo la rotta che passa dal Ciad

Dorella Cianci mercoledì 30 agosto 2023

Migranti in Yemen cercano di raggiungere il confine con l'Arabia Saudita

Nell’estremo nord del massiccio di Tibesti c’è una regione omonima, forse poco nota, che avvicina il Ciad alla Libia e, a ovest, anche allo Stato del Niger. La rotta migratoria che fa capo al Ciad, e in particolare alla zona del lago, non è al momento nota come zona di respingimenti, di maltrattamenti, di morti. Eppure, proprio in quell’area, si stanno concentrando molte persone dirette verso nord, ma anche verso la penisola arabica. Questo racconto relativo al Ciad nasce da un riscontro autoptico di inizi luglio e da testimonianze di medici volontari decisamente affidabili, ma anche esposti a molti pericoli. Perché proprio il Ciad? È da qui che arrivano segnalazioni di altre morti di migranti in cammino verso quell’area del nord, che Papa Francesco ha definito, alla Gmg di Lisbona, uno dei più grandi cimiteri del mondo, anche più del Mar Mediterraneo.

L'area della morte dovrebbe essere localizzata intorno a Gouro, ma le autorità libiche non sono autorizzate a informare su quella zona (e probabilmente non informerebbero comunque su questa orribile situazione) e dal Ciad, assurdamente, non arriva nessuna segnalazione, anche perché i numeri di coloro cha scappano dal vicinissimo Niger sono fuori controllo, sin da poco prima del golpe. Nessun governo ha interesse a divulgare questi dati, ancora molto confusi. In pochissimi, in Occidente, hanno voglia di verificarli direttamente. A questo scenario confuso, in una zona tanto variegata negli scenari di politica interna, quanto accomunata, fino ai confini, da miseria, insicurezza, violenza e crisi climatiche, si sommano i preoccupanti (ma precisi e autorevoli) dati riportati da Human Rights Watch. Che cosa sta succedendo in questa zona di transito, sia verso est (al confine con lo Yemen e i suoi “corridoi illegali”) sia verso il Sudan, fino a giungere alle soglie del Nilo Azzurro, sia a nord, alle soglie della Libia? Si è parlato tanto di quel che accade in Libia, ma quasi non si conoscono le problematiche migratorie legate alla centralità geografica del Ciad e alla complessità dei suoi confini.

Su una cartina questo tragitto dura il tempo d’un colpo d’occhio; in realtà, anche spostandosi a bordo di confortevoli auto, la situazione è abbastanza sostenibile, nonostante il passaggio dal territorio di Mongororo (quasi accanto al Darfur) decisamente pericoloso da valicare per le bande violente in arrivo dal Centrafrica. Com’è, però, questo tragitto, che ruota proprio intorno al Lago Ciad, quando è percorso su mezzi di fortuna e con molti chilometri da sostenere a piedi? Non può che essere un tragitto di morte, perché caldo, spesso arido, assetato, ma anche violento a causa dei respingimenti intensificati (non ancora molto conosciuti) fra Niger e Ciad e poi fra Ciad e Sudan. Quando raramente queste vite in cammino dal Niger riescono a raggiungere l’Etiopia, l’inferno non è finito. Uno dei resoconti più precisi è stato fornito dal Guardian, a firma di Peter Beaumont, che ha diffuso una mappa utile soprattutto per comprendere il dossier degli orrori compiuti dalle guardie saudite. Il rapporto Human Rights Watch di 73 pagine precisa quel che si sapeva, in via informale, già da marzo: «Hanno sparato su di noi come pioggia. Ci sono state uccisioni di massa in Arabia Saudita, soprattutto con migranti etiopi, al confine tra Yemen e Arabia Saudita »; le guardie hanno, infatti, usato armi esplosive per uccidere molti migranti e hanno sparato ad altri a distanza ravvicinata, anche a molte donne e bambini, secondo modello sistematico di attacchi e violenza, dettato dal governo saudita. Si legge inoltre: «In alcuni casi, le guardie di frontiera hanno chiesto ai migranti a quale arto sparare e poi hanno sparato addosso». Non è però emerso, neanche da quest’ottimo dossier, che cosa accade a coloro che non riescono neanche ad arrivare in Etiopia e oltre.

In pochi arrivano alle porte
della penisola arabica,
ma anche chi riesce ad affrontare
il lungo esodo non può dirsi salvo


Il destino di morte, spesso, riguarda soprattutto i richiedenti asilo in arrivo dal Niger e diretti (teoricamente) in Arabia Saudita. In questa zona di mezzo, «fuori dalla vista del resto del mondo», per usare un’espressione di Nadia Hardman, profuga e ricercatrice sui diritti dei migranti, non c’è né il diritto internazionale né ci sono gli occhi del resto dell’umanità. In pochi arrivano alle porte della penisola arabica, ma anche chi riesce ad affrontare il lungo esodo non può dirsi salvo. Hardman ha anche dichiarato: «Spendere miliardi per acquistare golf professionistico, squadre di calcio e grandi eventi di intrattenimento per migliorare l’immagine saudita non dovrebbe distogliere l’attenzione dei media da questi orrendi crimini, peraltro già diffusi attraverso il social network TikTok il 4 dicembre 2022. Nessuno si è mosso. Nessuno si è davvero preoccupato.

Nel video si vede un gruppo di circa 47 persone, di cui 37 donne, che camminano lungo un ripido pendio, all’interno dell’Arabia Saudita, proprio sul sentiero utilizzato per attraversare il campo migranti di Al Thabit. Human Rights Watch ha intervistato, come noto, moltissime persone, ma soprattutto ha analizzato oltre 350 video e fotografie pubblicate sui social o raccolte da altre fonti. Proprio grazie a queste fonti ufficiose possiamo raccontare altri dettagli, aggiungendo la nostra voce diretta: lungo il percorso attraverso il Ciad ci sono tanti cittadini e cittadine del Niger che stanno incontrando la morte, mentre una parte del mondo plaude al vertice dei Brics di Johannesburg. Queste persone, nel silenzio totale, non arriveranno mai a destinazione.

. Il caso del traffico di farmaci che,
spacciati per antipiretici,
provocano gravi danni alla salute
di donne e bambini
Migranti in Yemen cercano
di raggiungere il confine con l’Arabia Saudita

E poi c’è un altro tema che fa ancora capo al Ciad e che non è riuscito a trapelare, in questi giorni, sul tavolo internazionale del Sudafrica: da dove arrivano i presunti antipiretici, spacciati quasi per paracetamolo, che dovrebbero curare febbri malariche dei bambini del Sahel? Stiamo parlando del cosiddetto “farmaco del migrante”, (denominazione decisamente impropria e con connotazione sprezzante da quelle parti), il tramadol. A inizi luglio abbiamo potuto documentare direttamente lo smistamento in Ciad. Una parte di questi pseudo-farmaci prende la via della Libia, altri scendono in Nigeria, in Sudan, Etiopia, fino a trovarne tracce nelle analisi dei bambini dell’Uganda. Il carico, spesso, si ferma intorno al lago Ciad, in zone vicinissime al Niger, da cui non trapelano notizie sufficienti su quel che accade nella parte ancor più occidentale (dove avrebbe origine. Molti indicano la Costa d’Avorio come maggiore centro di produzione, ma andrebbero aggiunti non solo il Senegal e la Guinea, ma il Ciad stesso, che fa affari d’oro con la Libia. A sua volta la malavita libica esporta questa droga in Sicilia e Calabria oppure proprio in Araba Saudita, in Giordania fino a raggiungere i porti della Turchia).

Che cosa abbiamo cercato di documentare in Ciad? Non tanto la “via della droga”, quanto la diffusione della sostanza tramadol per curare i bambini del Congo, dello Zaire, dell’Uganda. Siamo riusciti, in parte, a notare come il Centrafrica non permetta l’utilizzo sui piccoli e sulle donne incinte, ma il prodotto, proprio perché di produzione interna, risulta a basso costo e viene prescritto per piccoli malanni, pur causando elevatissimi danni. I bambini che lo ricevono per placare una semplice febbre sono soggetti a danni al cuore irreversibili, se non addirittura ad arresti cardiaci immediati. Nelle donne, spesso a loro insaputa, il farmaco causa aborti spontanei, che dovrebbero risolvere, secondo testimonianze del personale sanitario che ha raccolto i dati, il sovrappopolamento di determinate aree. Ovviamente queste pratiche disumane e indecenti sono consentite dai controlli delle milizie di Stato, che hanno avuto, già negli anni passati, sufficienti “nozioni” sia dai terroristi dell’Isis sia dagli uomini della Wagner, i quali usano il prodotto abitualmente come droga a basso costo, da rivendere anche nell’Est asiatico a ben altri prezzi.

Entrambi gli scenari riscontrati in Ciad, luogo che è indicato come molto pericoloso dopo l’assassinio di Déby, nel 2021, ci raccontano una zona dell’Africa settentrionale e centrale da cui in tanti cercano di fuggire, di cercare di riparo, di proteggere i propri bambini. È difficile farlo. È ancor più difficile per le persone del Niger, ancora totalmente nel caos. Spesso sia fuggire verso nord che verso est è pericoloso quasi quanto restare. Questa realtà resta invisibile al vertice di Johannesburg. Ma non solo...