Opinioni

Referendum e profezie mediatiche. L’interessato «tumulto»

GIorgio Ferrari martedì 22 novembre 2016

«Prepariamoci al tumulto», scrive in prima pagina il "Wall Street Journal". Più diretto ancora, il "Financial Times" prevede «una sequenza di eventi che metterebbe in dubbio l’appartenenza dell’Italia alla zona euro». Che cos’è accaduto? Quale sconquasso nottetempo ha messo sottosopra i cardini, forse addirittura le fondamenta dell’Europa? E perché noi non ce ne eravamo accorti? Perché Mario Draghi e Jean-Claude Juncker, ma anche Angela Merkel e François Hollande non ci hanno avvisati per tempo?Come forse avete capito, questo roboante red alarm (allarme rosso) lanciato dai due più autorevoli quotidiani economici del mondo riguarda l’eventualità che al referendum del 4 dicembre vinca il No.

La catastrofe annunciata non lascia spazio all’ambiguità: se il Sì non vince, l’Italia – sostengono i due quotidiani – potrebbe innescare quell’effetto-valanga che trascina al ribasso i mercati e financo la moneta unica (convalidando così, guarda caso, la preveggenza di quei Paesi membri dell’Unione Europea – Regno Unito e Danimarca in testa – che si sono guardati bene dall’entrare a farne parte).Il messaggio, che ha quasi il sapore di un ultimatum, in sé qualche fondamento ce l’ha. Fra i grandi Paesi della Ue l’Italia è innegabilmente il fanalino di coda quanto a crescita economica e a entità del debito.

Arranchiamo, è vero, con esigue percentuali di crescita, sempre a un passo dalla deflazione, sempre inchiodati a una produttività oraria che in vent’anni è cresciuta del 5% laddove negli Stati Uniti è aumentata del 40% e del 30% in Francia, Germania e Gran Bretagna. Basterebbe questo, al netto del risultato del referendum, a preoccupare banchieri d’affari, possessori di fondi e investitori internazionali.E c’è una seconda verità, altrettanto difficile da negare: le spinte populiste, la protesta anti-sistema, la demagogia anti-establishment sono non da ieri un chiaro sintomo della malattia che ha colpito le democrazie occidentali.

Quelle europee per prime, come si vede dalla decisione di Angela Merkel di correre per il quarto mandato o dal tentativo neogollista di trovare un antagonista credibile (dunque non Sarkozy) nel confronto elettorale con Marine Le Pen: democrazie che ora si affrettano a correre ai ripari, pur consce che più che unire l’Unione Europa negli ultimi anni è riuscita solo a dividere (si veda lo scandaloso scaricabarile sull’ineludibile questione dei rifugiati preceduto da quell’insensata corsa all’austerità allestita in quel tragico laboratorio sociale a cielo aperto che è stata la Grecia), amplificando gli egoismi nazionali, erigendo muri, inscenando divorzi clamorosi.

Stiamo parlando del Regno Unito, e di quella Brexit che nessuno aveva capito e previsto, che la grancassa del giornali aveva sbeffeggiato e sottovalutato, salvo poi risvegliarsi una mattina con una Gran Bretagna profondamente divisa fra città e campagna, con un governo a pezzi, un leader dimissionario e una stampa senza eccezioni che ha fatto una grama figura perdendo buona parte della sua credibilità.

Non è da meno l’America, che ha clamorosamente ignorato l’ascesa di Donald Trump, negando l’evidenza di un rovesciamento di valori che divorava rapidamente l’elettorato che solo quattro anni prima aveva votato per Obama, costringendo – a elezioni concluse – l’editore del "New York Times" a una farisaica lettera di scuse ai propri lettori «per aver mancato al nostro compito istituzionale: cercare la verità e informare su tutto, senza esclusioni».

Ecco perché le intemerate quanto catastrofiche previsioni del 'Wall Street Journal' e del 'Financial Times' – ce n’è anche una contemporanea del 'New York Times' sul rischio-banche italiano – suscitano in noi un educato quanto indispensabile scetticismo (e limitiamoci a quel-lo): giornali che non hanno capito il collasso del consenso di Hillary Clinton o l’affermarsi della Brexit ci inducono semmai a pensare che certe previsioni a orologeria traggano spunto più dalla moral suasion di qualcuno (fondi? cordate di investitori? poteri assortiti?) che dalla disinteressata necessità di capire e informare. Salvo poi rendersi conto – come già è accaduto all’indomani della Brexit e dell’elezione di Trump – che i mercati si adattano e festeggiano sempre il vincitore. E comunque non sono l’oracolo di Delfi. Non tutti, a quanto pare, lo hanno capito.