Opinioni

Alla scuola dei santi / 8. La resistenza delle coscienze per non tradire il prossimo

Elio Guerriero venerdì 13 ottobre 2017

Il 12 settembre è stata approvata dalla Camera dei deputati la legge che definisce reato l’apologia del regime fascista e nazi-fascista. L’impressione è che una legge del genere non dica molto alle giovani generazioni, cresciute in un contesto storico in cui il pluralismo delle scelte appare un dato incontrovertibile. Al di là, tuttavia, del giudizio storico sul ventennio fascista, due gravi errori rendono improponibile la ripetizione di quell’esperienza politica: la persecuzione degli ebrei e la successiva scelta della guerra al fianco della Germania nazista. Contro queste decisioni errate e ingiuste levarono la loro voce coraggiosa alcuni cristiani che pagarono con la vita la scelta di solidarietà.

Odoardo Focherini era un laico, sposato con Maria Marchesi, e aveva 7 figli. Come amministratore del quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia, godeva di buona reputazione e aveva ottime prospettive per il futuro. A tutto questo rinunciò quando decise di prodigarsi attivamente a favore degli ebrei. Odoardo, familiarmente chiamato Odo, era nato a Carpi nel 1907 da genitori di origine trentina. Due sacerdoti furono importanti negli anni della sua giovinezza: don Armando Benatti si occupò della sua formazione religiosa e culturale; e don Zeno Saltini, il futuro fondatore di Nomadelfia, gli inculcò l’interesse per la vita pubblica e sociale. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta l’Azione Cattolica divenne una realtà importante nella società italiana. Quasi naturalmente Odoardo ne entrò a far parte, e ben presto ricoprì incarichi di prestigio. Nel 1928 divenne membro della giunta diocesana, nel 1936 venne eletto presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Carpi. Come già ricordato, nel 1939, allo scoppio della guerra, venne chiamato all’Avvenire d’Italia come amministratore. In breve diventò l’uomo di fiducia del direttore, Raimondo Manzini, che a lui si rivolgeva per le questioni più delicate.

Nel 1942 arrivò a Genova un gruppo di Ebrei. Il vescovo della città ligure, il cardinale Pietro Boetto, li indirizzò a Bologna pregando Manzini di occuparsene. A sua volta il direttore affidò l’incarico a Focherini che da questo momento divenne il punto di riferimento imprescindibile per gli ebrei di passaggio a Bologna. In collaborazione con don Dante Sala, un sacerdote di grande spiritualità, Odo organizzava il viaggio fino a Cernobbio, sul Lago di Como: da qui gli ebrei potevano varcare il vicino confine con la Svizzera. In questo modo più di cento ebrei ebbero salva la vita. L’11 marzo del 1944 l’amministratore dell’Avvenire era in visita presso l’Ospedale Ramazzini di Carpi per concertare la fuga di Enrico Donati. Qui venne raggiunto dal reggente del fascio di Carpi che gli intimò di seguirlo con urgenza a Modena, dove gli venne comunicato che era in stato di arresto. Da qui fu trasferito in carcere a Bologna. Al cognato che nel corso di una visita gli chiedeva se era pentito dell’aiuto prestato agli ebrei rispose: «Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, come trattano gli ebrei qui dentro, saresti pentito solo di non averne salvati di più». Dal carcere venne poi trasferito al campo di concentramento di Fossoli. Era l’inizio del suo lungo pellegrinaggio nell’abisso dei lager: la tappa successiva fu Gries (Bolzano), poi Flossenburg, nella Baviera Orientale, e infine Hersbruck. Morì il 27 dicembre del 1944. L’amico Teresio Olivelli raccolse e riuscì a far giungere alla famiglia le sue ultime parole: «I miei figli... voglio prima vederli... Tuttavia, accetta, o Signore, anche questo sacrificio e custodiscili tu... Vi prego riferire a mia moglie che le sono rimasto sempre fedele, l’ho sempre pensata, e sempre intensamente amata». Con la sua abilità Odo riuscì a far giungere a casa 166 lettere che sono un monumento reso all’amore per la famiglia. Riconosciuto come giusto tra le nazioni già nel 1969, Odoardo Focherini è stato proclamato beato nel 2013.

Abbiamo già incontrato Teresio Olivelli, l’amico di Focherini. Nacque il 7 gennaio del 1916 a Bellagio, al centro del Lago di Como. Presto, tuttavia, i genitori ritornarono nella natìa Lomellina e si stabilirono a Mortara, in diocesi di Vigevano. Al fianco di Teresio c’era lo zio, don Rocco Invernizzi, che fu la sua guida spirituale, il maestro che gli insegnò l’amore per il prossimo. Già da ragazzo egli assimilò questa virtù aiutando i compagni negli studi. Si iscrisse poi all’Azione Cattolica e divenne membro della San Vincenzo sempre con l’intento di aiutare i più bisognosi. All’università scelse di studiare Giurisprudenza e, per risparmiare tempo, si stabilì presso il prestigioso Collegio Ghislieri di Pavia. Lo studio serio che gli permise di conseguire risultati eccellenti non lo allontanò dall’impegno civile. Fece parte della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici, ma fu attivo anche tra i Guf, i Gruppi universitari fascisti. Il suo punto di vista era che comunque conviene esserci, essere presenti per rendere più cristiana e umana la società. Si laureò nel 1938 con lode, e già si prospettava per lui una brillante carriera accademica, ma Teresio non era capace di stare a guardare. I l 1942 è l’anno della campagna di Russia. Il giovane professore chiese di parteciparvi per condividere rischi e sofferenze dei soldati. Rientrato in patria si ripresentò al Collegio Ghislieri, dove venne nominato rettore a soli 27 anni. Avrebbe potuto dunque starsene al sicuro, ma ancora una volta non fu questa la sua scelta. Avendo compreso che l’avventura della guerra avrebbe portato al tracollo del Paese, aderì alla lotta partigiana. Il centro della sua azione era Milano. Teresio rifuggiva dalla violenza e considerava se stesso e i suoi compagni «ribelli per amore». Arrestato il 27 aprile del 1944, fu condotto nel carcere di San Vittore dove venne sottoposto a interrogatori e torture. Venne infine spedito nel campo di concentramento di Fossoli, dove incontrò Focherini. I due diventarono amici per la fede comune ma anche perché percorrevano le stesse stazioni che li portarono in ultimo a Hersbruck, un vero campo di sterminio. Le condizioni di lavoro nelle cave, le striminzite razioni di cibo, il freddo determinavano presto la morte degli internati. Anche in questa situazione Teresio non rinunciò alla carità. Spesso risparmiava sulle razioni di cibo per distribuirle ai più bisognosi, incoraggiava, invitava alla preghiera e alla speranza. Il 31 dicembre un kapò infierì su un ragazzo ucraino. Quasi istintivamente Teresio si frappose in sua difesa, ma subito ecco il kapò sferrargli un calcio che lo riduce in fin di vita. Morirà nella notte tra il 16 e il 17 gennaio del 1945. Teresio Olivelli verrà proclamato beato il prossimo 3 febbraio nella sua diocesi di Vigevano. Il postulatore della causa lo ha definito un buon samaritano dell’umanità: «La sua beatificazione – ha proseguito – arriva quando i cattolici italiani hanno bisogno di ritrovare le loro migliori radici anche sul versante della testimonianza nel sociale».

Samaritana dell’umanità può essere definita anche Anna Maria Enriques Agnoletti. Nata a Bologna nel 1907 in una famiglia agnostica, trascorse gli anni dell’adolescenza e della giovinezza spostandosi da Bologna a Napoli, Sassari, Firenze seguendo gli incarichi del padre, professore universitario. Intellettuale finissima, laureata in storia medievale e diplomata in paleografia e archivistica, maturò la conversione al cattolicesimo in contatto con Giorgio La Pira, don Giulio Facibeni e il cardinale Elia Dalla Costa. Dopo la laurea ottenne l’incarico di prima archivista presso l’Archivio di Stato di Firenze. Dimissionata dopo l’approvazione delle leggi razziali nel 1938 perché figlia di un ebreo, dal cardinale Dalla Costa e da La Pira venne presentata a monsignor Montini che le fece avere un incarico presso la Biblioteca vaticana. Dopo l’8 settembre, insieme con il fratello Enzo, aderì alla resistenza divenendo una delle dirigenti del movimento cristiano sociale. Ritornò poi a Firenze e favorì l’adesione dei cristianosociali al Partito d’Azione. Prese poi contatti con i gruppi della resistenza operanti nel Livornese, in Lucchesìa, nella Val di Chiana e in Val d’Orcia. Tanta attività non poteva passare sotto silenzio. Denunciata, Anna Maria venne arrestata il 12 maggio 1944. Interrogata e torturata ininterrottamente per 7 giorni, resistette senza rivelare i nomi dei collaboratori. Venne fucilata il 12 giugno del 1944 a Sesto Fiorentino. Scrisse di lei don Franco Angeli, sacerdote sopravvissuto ai lager: «Non dimenticheremo mai più la sua dolce figura piena di bontà, l’energia virile del suo animo grande, di fronte a cui si spuntarono l’astuzia e la violenza naziste». Samaritani dell’umanità, i beati Focherini e Olivelli e Anna Maria Enriques Agnoletti sono antesignani di quella fraternità cristiana estesa a tutti gli uomini, tanto cara a papa Francesco.