Opinioni

Tensioni nel Mar Baltico. Il grande gioco che va da Lukashenko alla Cina

Giorgio Ferrari domenica 30 maggio 2021

Due partite s’intersecano in questi giorni sopra i cieli dell’Europa del nord. La prima è la disputa sui sorvoli della Bielorussia a seguito dell’atto di pirateria aerea compiuto dai Mig di Lukashenko ai danni un volo commerciale della Ryanair dirottato sulla capitale Minsk allo scopo di arrestare il dissidente Roman Protaevich. La seconda riguarda il vertice che si terrà a giugno fra il presidente americano Biden e Vladimir Putin. Due aspetti di quel Great Game fra piccole e grandi potenze in atto nel Medio Oriente e nel nord Africa e che ora manda i propri riflessi anche sul Mar Baltico.

Com’era immaginabile, il braccio di ferro fra la Bielorussia e l’Occidente ha prodotto una nuova raffica di sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Un grappolo di miliardi di dollari che non farà che peggiorare la periclitante economia dell’ex Russia Bianca, senza tuttavia ottenere quell’effetto che si potrebbe pensare: l’abbraccio fra Lukashenko e il suo lord protettore del Cremlino è ancora più stretto. Lo si è visto a Sochi, in quella sorniona dichiarazione in cui Putin ha esaltato il riavvicinamento fra Minsk e Mosca e criticato le pressioni europee, invitando simbolicamente Lukashenko a una nuotata a due nelle acque del Mar Nero.

Prodromo, come si è fatto trapelare, di una possibile futura unione fra i due Paesi: il gigante russo e la sua piccola ma strategica propaggine incastonata fra Ucraina, Polonia, Lituania e Lettonia nel cuore di quello che fu il Patto di Varsavia. E proprio per questo, una minaccia severa sotto il profilo militare per almeno tre Paesi membri della Nato. Un’eventualità che tuttavia Lukashenko teme più di ogni altra cosa: la gerontocrazia post-sovietica (e nessuno meglio del satrapo bielorusso – per non dire di Putin) sa bene come un sistema vecchio e traballante come quello che fu l’impero di Breznev si regge proprio sull’intoccabilità dei suoi pilastri. Ma in questo Grande Gioco sul versante Nord si staglia ora un partner incomodo come la Turchia.

Membro della Nato, nazione chiave sia sotto il profilo geografico sia sotto quello militare (le sue Forze armate sono seconde solo agli Stati Uniti e rappresentano l’ottavo esercito del mondo con una spesa di almeno 20 miliardi di dollari annui pari a circa il 2% del Pil), nei giorni scorsi Ankara ha condizionato la stesura della dichiarazione di condanna nei confronti della Bielorussia da parte dell’Alleanza Atlantica, annacquandone il contenuto.

Di fatto, una mano tesa a Mosca e al suo alleato in difficoltà. Un coup de théâtregià visto varie volte in Medio Oriente, nella decennale e sanguinosa guerra civile siriana e più recentemente nella vorace spartizione della Libia fra Erdogan e Putin. Ma nonostante ciò, nonostante questa spina nel fianco e queste incertezze che rendono scivolosa ogni deliberazione, la guerra dei cieli bielorussi (per un po’ si è giocato a vietare o evitare sorvoli sopra Minsk e a far saltare alcuni atterraggi europei sul suolo russo) è poca cosa rispetto alla partita vera che si sta per giocare. Quella cioè fra Biden e Putin, che si incontreranno il 16 giugno a Ginevra. In agenda ci sono le relazioni bilaterali, la stabilità strategica, la soluzione dei conflitti regionali. Ma fra le righe c’è ben altro. Come il fatto che allo stato delle cose è rimasto un unico trattato sulla limitazione delle testate nucleari fra Mosca e Washington (il New Star da poco rinnovato): troppo poco, per due antichi avversari dotati di un vastissimo arsenale atomico.

E troppo poco anche di fronte al proliferare conclamato di almeno un paio di altri fronti di guerra: quello digitale (i cyberwarrior e gli hacker russi sono forse i migliori e i più pericolosi del mondo, l’ultimo attacco all’America è di pochissimi giorni fa) e quello dei mari (la nuova via artica che si spalanca con lo sciogliersi dei ghiacci lungo la costa siberiana). Il grande gioco, quello vero, è esattamente questo.

Ed è un gioco a tre, perché perWashington il più insidioso fra i competitor non è certo la Russia, grande potenza ma non più di caratura planetaria, e nemmeno lo sono potenze regionali come la Turchia, l’Iran, la Corea del Nord. Il duello cruciale degli anni a venire è con il gigante cinese. Con Putin, con la sgangherata armata Brancaleone degli ultimi satrapi postcomunisti alla fine, ci si può intendere. E a questo punta Joe Biden. in vista dell’altra, più impegnativa partita.