Opinioni

Futuro online. Guerra (e pace) sul metaverso La conquista del Web ci riguarda

Adriano Fabris venerdì 9 settembre 2022

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Viviamo tempi di guerra. C’è la guerra in Ucraina: una guerra vicina, situata all’interno dell’Europa. È una guerra di stampo antico, finalizzata a distruggere fisicamente il nemico con l’uso sempre più massiccio di armi. È una guerra crudele, che non risparmia civili, innocenti, bambini. Ci sono poi le guerre dimenticate, altrettanto crudeli, anche se non sono sotto l’attenzione dei media. Le ricorda infatti, il più delle volte, solo questo giornale. Pensiamo a ciò che accade nello Yemen. Pensiamo alla Siria e all’Iraq, dove il conflitto in certe regioni è tutt’altro che concluso. Pensiamo al Tigrai. Pensiamo a ciò che avviene nel nord della Nigeria. Ci sono ancora le cosiddette guerre a bassa intensità, in cui ogni tanto le tensioni riesplodono provocando nuove vittime. Mi riferisco al conflitto israelo-palestinese o a quello fra Pakistan e India per il Kashmir. Ci sono infine le guerre minacciate. La minaccia riguarda un attacco armato, fortunatamente non ancora compiuto. Ma non per questo le guerre potenziali non fanno vittime. Uccidono con altri mezzi: bloccano l’economia, i commerci, gli approvvigionamenti. È ciò che si sta verificando, ad esempio, fra Cina e Taiwan. Tutte queste guerre hanno spesso motivi che vanno al di là dei semplici interessi nazionali. In ogni caso le loro conseguenze si ripercuotono a livello globale. Se la regola della violenza è che questa richiama sempre altra violenza, in un’escalation che termina solo quando uno dei contendenti – o entrambi – sono distrutti, la logica della guerra è che finiamo per pagarne le conseguenze tutti quanti. Per questo, anche razionalmente, la ricerca della pace è l’opzione più saggia e doverosa.

Tuttavia, accanto a queste guerre fin troppo reali, vi è in corso negli ultimi decenni un’altra guerra, tuttora aspramente combattuta. È una guerra subdola, perché non risulta immediatamente visibile nella realtà concreta. È una guerra che non fa uso di armi convenzionali e che non produce spargimenti di sangue, almeno in maniera diretta. Ma non per questo è meno vicina a noi e meno crudele, visto che anch’essa c’interessa tutti quanti. Sto parlando del conflitto per la conquista e il controllo degli ambienti digitali. Non mi riferisco alle guerre combattute in un videogioco: parlo proprio dell’instaurazione di quei nuovi ambienti di vita che sono creati o aperti dagli sviluppi tecnologici (in particolare dalle Ict, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione), e delle conseguenze che tutto ciò ha comportato e comporta. Certo: chi ha dato inizialmente la possibilità di vivere questi ambienti online, grazie alla rete, non lo ha fatto per promuoverne un uso commerciale. Penso per esempio a Tim Berners- Lee, l’inventore nel 1989 del World Wide Web. Ben presto, però, tale opportunità è stata colta e ha prodotto la corsa allo sfruttamento del Web concepito come un vero e proprio “nuovo mondo” da colonizzare, un’avventura simile a quella che si verificò nel XVI secolo dopo la cosiddetta “scoperta” dell’America. Anche in questo caso, come nelle vicende che hanno riguardato il continente americano, lo scopo è stato anzitutto di accaparrarsi il controllo delle rotte e dei territori che rendono possibile l’acquisizione delle nuove risorse.

Tutto ciò ha prodotto una serie di conflitti che hanno portato, in ultimo, ad attribuire il monopolio di tale sfruttamento commerciale ad alcune grandi compagnie “tech”. Si tratta, come sappiamo, soprattutto di Amazon, Google, Facebook, Apple e Microsoft. Adesso è partita un’altra campagna di conquista: si tratta della conquista di uno spazio diverso, anch’esso inventato. Perché questa è l’intelligenza dell’operazione, conforme alla logica del marketing. Anzitutto si riconosce un bisogno, poi s’inventa una dimensione all’interno della quale può venire soddisfatto, successivamente si pongono le condizioni per tale soddisfacimento, ottenuto attraverso una contropartita commerciale o commercializzabile, e infine si cerca di alimentare e consolidare, attraverso campagne di pubblicità mirate, quel desiderio che ci spinge ad accedere, sempre e di nuovo, all’ambiente online: quello che è stato appunto inventato e di cui si ha il monopolio. Mark Zuckerberg, dopo aver compiuto con successo quest’operazione inventando e gestendo un social network come Facebook, ora – dato che la produttività di questa rete sociale sembra esaurita, anche a seguito di alcuni scandali riguardanti lo sfruttamento improprio di dati personali – compie un’operazione analoga promuovendo e cercando di monopolizzare un altro ambiente: quello che viene chiamato “metaverso”.

Come viene detto sul sito di Meta – la nuova azienda di Zuckerberg –, il “metaverso” è «un set di spazi virtuali nei quali puoi creare ed esplorare, insieme ad altre persone che non stanno nel tuo stesso spazio fisico. Sarai in grado di frequentare amici, lavorare, giocare, imparare acquistare, creare, e molto di più. Non si tratta necessariamente di passare più tempo online: si tratta di far sì che il tempo che tu passi online abbia più senso». Ciò viene compiuto permettendo di accedere ad ambienti virtuali, mediante per esempio dispositivi come visori e sensori, allo scopo di vivere non tanto in una realtà aumentata quanto in una realtà davvero “altra”. Non è propriamente di una novità: nel sito viene detto chiaramente. È piuttosto un modo di sviluppare e rendere condiviso un determinato uso della rete. Qui in effetti sta il punto. Nuovo non è l’uso del Web, ma – come nel caso di Facebook – è il modo che ci viene offerto di collocarci in esso.

Nell’Arte della guerra di Sun Tzu, il famoso trattato cinese, è scritto che la strategia migliore per vincere le battaglie è quella che raggiunge l’obiettivo senza dover combattere. Un modo per ottenere questo risultato è far sì che la battaglia si combatta sul proprio terreno. Il modo più facile per far sì che un terreno sia il proprio è quello di crearselo. È ciò che cerca di fare Meta. Ma ci sono altri competitor che da tempo si sono annunciati e che stanno seguendo strategie diverse per conquistare gli ambienti virtuali. Uno è Microsoft. Microsoft non punta, per la commercializzazione della realtà virtuale, sulla sua assoluta novità, ma sulla continuità rispetto ad altre esperienze che abbiamo fatto usando le piattaforme, soprattutto nel corso della pandemia. Viene sviluppata una versione di Teams, ad esempio, in cui saranno i nostri avatar a interagire, così come, nella versione attualmente diffusa, interagiamo attraverso le nostre immagini in video. Un’altra strategia è quella di Google, che cerca di fare come la Gran Bretagna nei confronti di chi voleva uscire dal Mediterraneo per andare nell’Atlantico: ha acquisito il possesso dello Stretto di Gibilterra. Google cerca di avere il primato nella produzione dei visori che danno accesso al metaverso.

Non possiamo sapere come andrà a finire questa guerra. Non sappiamo, soprattutto, se il metaverso, una volta conquistato, avrà davvero valore. Altri progetti in passato – analoghi, ma meno tecnologicamente sviluppati, come Second Life – dopo un po’ sono stati abbandonati. In ogni caso, anche se non porta evidenti spargimenti di sangue, anche se si cercherà di vincerla prima di combatterla, questa è pur sempre una guerra: una guerra di conquista per ottenere il controllo di ciò che prima non c’era e che ora diventa accessibile a fronte di una contropartita commerciale o commercializzabile. È una guerra che si combatte sia offline che online, e che in ogni caso, come tutte le guerre, avrà ripercussioni forti nella nostra vita quotidiana. Ecco perché è necessario estendere anche a questo caso, anche a questa diversa forma di espressione dell’aggressività umana, la nostra opzione per la pace. Altrimenti ci troveremo a non avere scampo: neppure nei mondi virtuali da noi creati.