Opinioni

In Parlamento, a carte scoperte. Coi piedi fuori dalla sabbia

Marco Iasevoli sabato 10 agosto 2019

La politica mette i piedi fuori dalla sabbia del Papeete, stacca le mani dagli smartphone e torna nel luogo in cui tutto deve trovare inizio, sintesi e compimento: il Parlamento, espressione – secondo Costituzione – della sovranità popolare. Finalmente, si direbbe. Sin troppo ha aspettato il Paese. Nel giro di qualche giorno, finalmente, assisteremo a una partita a carte scoperte. Troppo facile – e altrettanto illusorio – pensare di dare una rotta all'Italia a suon di dirette Facebook, tenendo banco 40, 50, 90 minuti senza contraddittorio e limitandosi, alla fine, a contare i “like”.

La crisi arriverà in Aula, al Senato. E sarà un bene. Vedremo i protagonisti di questa vorace fase politica nel loro “habitat costituzionale”, divenuto però nel tempo estraneo, quasi innaturale. Lì, in Aula, ad esempio, è cosa ardua chiedere i «pieni poteri». Già in una piazza, per quanto gremita e osannante, è un argomento scivoloso. Figurarsi in una sede istituzionale, dove tutto viene registrato, annotato, memorizzato. E dove ogni cosa serve a prendere le dovute decisioni.

Sarà un bene quindi vedere Matteo Salvini parlare in Aula dal suo banco da senatore, non avendo avuto, il Senato, la possibilità di ascoltarlo da ministro su Russiagate, mafie, caso Siri–Arata e altri argomenti molto rilevanti. A fianco a una parte prevedibile del suo discorso, quella riguardante i recenti rapporti con M5s, il leader della Lega dovrà giocoforza disegnare l’Italia che pensa uscirà da un eventuale voto anticipato: un’Italia europea o trumpputiniana? Che ha in tasca l’euro o la lira? Che è alleata o nemica della solidarietà e del Terzo settore? Servono risposte precise nella sedi giuste e dinanzi a un contraddittorio. Se no, non è democrazia, è propaganda permanente.

Sarà un bene anche vedere Giuseppe Conte “informare” l’Aula degli ultimi sviluppi. Anche lui avrà un’opportunità. Regolerà i conti con il Carroccio, e questo lo si può dare per scontato, quasi per acquisito. Ma potrà e dovrà anche provare a spiegare all’altra parte del Parlamento, quella che non gli ha mai votato la fiducia, cose che in 14 mesi non ha potuto o saputo o voluto dire (ammesso che le pensi, ovviamente). Ad esempio, che lasciare l’immigrazione alla voce narrante unica di Matteo Salvini, a ragion veduta, non è stata una grande idea. Ma potrà anche illustrare come e perché si sono via via rimodulati nella direzione del dialogo i suoi rapporti con Bruxelles, come e perché difendere l’interesse nazionale sia una cosa sola con il restare aperti al mondo, come e perché fare le cose nel miglior modo possibile (Tav compresa) sia meglio che bloccarle. Potrà – se ne avrà il mandato politico – dire se M5s ha capito o no la lezione, se il partito di maggioranza relativa, che l’ha indicato premier, è ora in grado di uscire dalla moda al crepuscolo del populismo e aggiornare agenda e toni alle necessità del governare.

Sarà un bene anche riascoltare il senatore semplice del collegio di Firenze-Scandicci, Matteo Renzi. La tattica dei “pop corn” ha funzionato a metà: ha sì logorato M5s con la prova del governo, ma ha anche ingigantito la presa sul Paese della destra-destra. Non sappiamo se prenderà la parola, l’ex premier, ma certamente avrà occhi e orecchi per incrociare gli sguardi e le parole di Salvini e Conte, per capirne qualcosa – di positivo o di allarmante – che va oltre la convenienza del momento. Buona parte dei gruppi parlamentari del Pd investono ancora lui della responsabilità di scegliere.
Gli altri protagonisti del momento politico – Zingaretti, Di Maio, Berlusconi, Meloni – dovranno giocoforza restare spettatori. Così funziona in un’Aula parlamentare.

Conta infine chi siede tra quei banchi. Lì il clima si fa grave e serio. Le parole valgono il doppio. Ogni azione ha conseguenze. I voti pesano come macigni. Le decisioni non sono di carta. I veli cadono. Altri restano in piedi, e non è un caso. E nulla, proprio nulla, è mai scontato. Anche di questo momento di chiarezza dovremo ringraziare Sergio Mattarella, che persevera a non mortificare le istituzioni sotto la pressione dei sondaggi e dei troll che affollano i social network. E che riportando in Aula i protagonisti politici, riporta in Aula anche i veri drammi sistemici di questo Paese: il debito pubblico, l’Iva che può salire al 25%, lo spread che ci soffoca. Riporta in Aula, Mattarella, un concetto antico: politica è, innanzitutto, responsabilità.